L'immane tragedia di Pylos: affogati in Grecia per aprire le porte di Bengasi al governo italiano
di Michelangelo Severgnini
Mentre scrivo do un occhio alle notizie di agenzia. Le ultime dicono: 79 corpi ritrovati, 104 persone salvate. Questo è tutto ciò che si sa di un barcone affondato ieri pomeriggio a 87 km a sud-est dell’isola di Pilo in acque greche e partito dalla città di Tobruk, nella Libia orientale, carico, si pensa, di almeno 750 persone.
Un’immane tragedia. Che molti in Europa addebiteranno ai mancati soccorsi.
Noi non lo faremo.
Le cause della tragedia cominciano ben prima dei mancati soccorsi. E non sono da cercare nella fuga da guerre e povertà.
Questa è una storia che va raccontata per quello che è.
E scommettiamo che nessuno in Italia lo farà.
Lo scorso novembre per la realizzazione del documentario “Il cielo sopra Bengasi” ho intervistato diverse autorità del governo legittimo libico, quello che ha ricevuto il voto di fiducia del parlamento e che risiede a Bengasi a causa dell’occupazione militare di Tripoli da parte delle milizie appoggiate dall’Occidente.
In quell’occasione ricavammo alcuni concetti chiari ai quali voglio aggiungere alcuni fatti che vanno saputi. Oltre a questi, da mesi stiamo monitorando una pagina Facebook gestita dalla mafia pakistana a Bengasi che gestisce il traffico che ha organizzato la partenza del barcone affondato (vedi foto) e da questo monitoraggio abbiamo ricavato il resto delle informazioni, insieme a quanto offre la realtà internazionale in questi mesi.
Tutto quel che sappiamo lo riportiamo qui sotto:
1) I governi europei, riconoscendo solo il governo illegittimo di Tripoli, inviano soldi solo a Tripoli e quindi alla guardia costiera di Tripoli. Pertanto 2/3 delle coste libiche sono pattugliati dalla guardia costiera di Bengasi, che non dispone di risorse e mezzi, ma fa quello che può.
2) I soldi che i governi europei inviano al governo di Tripoli sono comunque utilizzati in massima parte per il sostegno militare delle milizie che occupano Tripoli, e “fermare i migranti” è solo un pretesto per consentire l’elargizione impunita di mezzi militari ad un governo usurpatore.
3) L’intero flusso di migranti africani in marcia dall’Africa subsahariana si dirige verso Tripoli e la Tripolitania, perché quella è la sola zona franca in mano alle milizie dove 700.000 africani lì presenti e in trappola sono sfruttati come schiavi e sottoposti a tortura affinché le loro famiglie mandino ingenti somme di denaro per i riscatti. Le reti mafiose africane che gestiscono la tratta e che adescano i ragazzini che noi chiamiamo migranti, sono in combutta con le milizie libiche di Tripoli. Pertanto l’unico punto di partenza dalla Libia in cui i migranti africani si possono imbarcare è la Tripolitania, la costa occidentale della Libia, quella gestita dalle milizie da noi finanziate.
4) Fino a qualche mese fa le partenze dalla costa orientale della Libia, ossia quella sotto il controllo del legittimo governo, erano praticamente nulle, nonostante la mancanza di risorse.
5) Da alcuni mesi si è creato un traffico di partenze verso l’Italia dalla città di Tobruk, sulla costa orientale vicino a Bengasi. Ma chi si imbarca non è africano. Gli africani finiscono tutti a Tripoli. Chi si imbarca da Tobruk è in prevalenza di nazionalità pakistana, a seguire egiziana, siriana, palestinese.
6) Gli Egiziani, i Siriani e i Palestinesi che in questi mesi si sono imbarcati da Tobruk rappresentano una sorta di spicciola immigrazione interna. Diverso è il discorso dei Pakistani, che rappresentano il numero maggioritario. Questi arrivano a Bengasi via aereo con triangolazione di solito a Istanbul: Pakistan-Turchia-Libia con voli aerei regolari, Libia-Italia sui barconi.
Una pubblicità in urdu dei viaggi da Tobruk all'Italia
7) I barconi che partono da Tobruk sono tutti di legno, pescherecci a fine carriera, solitamente in grado di raggiungere da soli le coste italiane (a differenza dei gommoni sgonfi che partono dalle coste della Tripolitania), pertanto i trafficanti di Tobruk non sono in contatto con le Ong e non avvisano delle loro partenze.
8) Ogni gommone sgonfio può trasportare fino a 100 persone. Sui barconi invece se ne possono caricare a centinaia. Le navi di soccorso delle Ong sono studiate per recuperare i passeggeri dei gommoni sgonfi (quelli che da soli non sono in grado di raggiungere nemmeno le coste italiane), pertanto sono in grado di recuperare dal mare poche decine di migranti alle volta.
9) In Marocco da diverse settimane sta proseguendo un vertice ad oltranza definito “6+6”, dove alcuni esponenti del Consiglio di Stato (organo non eletto ma rappresentante dell’occupazione di Tripoli e facente gli interessi dell’Occidente) e altrettanti del Parlamento libico (organo eletto dal popolo libico e insediatosi a Bengasi), stanno cercando di trovare un accordo che porti alle tanto attese prossime elezioni libiche. Il pomo della discordia è sempre e soltanto uno solo: l’Occidente vuole che sia inserita una norma che impedisca a Saif Gheddafi (dato largamente come favorito) di correre per le elezioni, mentre i rappresentanti del Parlamento libico rigettano questa possibilità. Nel frattempo si continua a discutere e la data delle elezioni si allontana sempre di più.
10) In questo quadro di caos e impasse, provocato dall’interferenza occidentale nelle dinamiche democratiche libiche, alcuni degli attori attualmente in campo in Libia cercano la benevolenza dei governi europei a proprio modo.
11) Ai politici libici è chiara una cosa: gli Europei vogliono il petrolio, ma il più è petrolio trafugato, difficile da mettere a fattura, pertanto l’immigrazione è sempre la voce giusta per coprire il traffico di contrabbando. E’ stato per anni lo schema delle milizie di Tripoli: queste saccheggiano il petrolio e lo mandano in Europa, in cambio dei soldi necessari a mantenere l’occupazione della Tripolitania. Visto che in questi termini non si può dire, allora viene registrato tutto alla voce “migrazione”. Per questo motivo, di fatto, le milizie di Tripoli hanno moltiplicato la migrazione in questi anni, non l’hanno fermata.
12) Nelle scorse settimane Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito Nazionale Libico, carica militare e non politica, ha fatto visita a Roma al governo italiano. Lo schema che ha proposto, con tanto di faccia tosta, verosimilmente è stato lo stesso:
“Il petrolio in Libia adesso ce lo abbiamo noi. Pagate noi anziché Tripoli e noi ve lo mandiamo”.
Verosimile risposta del governo italiano: “Non possiamo mandare soldi a Bengasi per l’acquisto di petrolio, altrimenti avrebbe ragione Severgnini quando mostra che a Bengasi un litro di benzina alla pompa costa 0,03 €”.
Risposta verosimile di Haftar: “Perfetto, allora mandateci soldi per contrastare i migranti, come fate con Tripoli”.
Risposta verosimile del governo italiano: “Ma voi non avete migranti in partenza, gli africani vanno tutti a Tripoli dalle milizie, che non vi lasceranno dirottare questo traffico verso Bengasi”.
Risposta verosimile di Haftar: “Non c’è problema, faremo arrivare i migranti dal Pakistan via aereo e poi li imbarcheremo”.
Risposta verosimile del governo italiano: “Che idea grandiosa!!! Fanne partire un po’, facciamo un po’ di casino così avremo la giustificazione per venire a Bengasi e firmare finalmente un accordo con le autorità dell’est. Lo schema è lo stesso: paghiamo per fermare i migranti, ma in realtà sono i soldi per il petrolio, che ne dici?”.
Risposa verosimile di Haftar: “Grazie Giorgia, sapevo che avresti capito”.
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Michelangelo Severgnini è autore de l'Urlo: schiavi in cambio di petrolio - libro inchiesta che svela le verità taciute in Italia sulla Libia