L'Europa che non c'è
di Loretta Napoleoni
Le vetrine sbarrate del centro di Lione dicono molto più di mille discorsi parlamentari. Dietro le barricate di legno, i commercianti si preparano a un’altra giornata di scioperi e proteste, mentre il governo francese arranca nel tentativo di approvare un bilancio che nessuno vuole votare. Emmanuel Macron è ancora all’Eliseo, ma la sua presidenza è un guscio vuoto: cinque primi ministri in due anni, un’Assemblea Nazionale spaccata, un Paese che si riconosce sempre meno nelle istituzioni. Sullo sfondo, Marine Le Pen sorride: il potere, quello vero, sembra ormai a portata di mano.
A Londra, il copione non è molto diverso. Solo un anno fa Keir Starmer era l’uomo della svolta, il leader capace di riportare stabilità dopo l’era caotica dei conservatori. Oggi, invece, è un premier logorato, assediato da mercati nervosi, da un bilancio giudicato disastroso, da un partito che lo contesta apertamente e da una serie di scandali che in dieci giorni hanno visto cadere come birilli tre dei suoi piu’ stretti collaboratori. Lo scorso week end, nelle strade di Londra, la marcia più grande mai organizzata dall’estrema destra britannica ha segnato un punto di non ritorno: il Reform Party di Nigel Farage, dato per morto mille volte, da mesi è alla guida dei sondaggi. Questa e’ la fotografia di un Paese in cui la promessa di governabilità si è sciolta come neve al sole.
In Germania, la scena è meno spettacolare ma altrettanto fragile. Friedrich Merz ha conquistato la cancelleria dopo elezioni sottotono, ma la sua coalizione appare già in crisi. L’unico successo, l’aumento delle spese per la difesa, è arrivato grazie a un escamotage parlamentare: segno che persino la vecchia locomotiva d’Europa fatica a muoversi nell’era post gas russo. Intanto l’AfD, partita come forza antisistema, è oggi la seconda potenza politica del Paese.
La Spagna di Pedro Sánchez sopravvive grazie a un patto controverso con i separatisti catalani; il Portogallo ha consumato tre elezioni in tre anni; il Belgio, fedele alla sua tradizione, ha impiegato mesi per formare un governo. E mentre in Italia Giorgia Meloni si presenta come l’eccezione di stabilità, la realtà la smentisce: il debito colossale e un sistema parlamentare ingessato limitano ogni margine di manovra.
Ecco l’Europa! Un continente che politicamente sta svanendo. La fotografia non è affatto sfocata è nitida: i governi europei non riescono piu’ a governare, sono semplici amministratori del declino, prigionieri di maggioranze fragili e di mercati scettici ed impazienti, paralizzati da una burocrazia che si muove con la velocità del ghiaccio. Le decisioni si rimandano, i problemi si accumulano, la retorica piu’ spicciola come “la minaccia russa che incombe sul vecchio continente” si appropria della politica e le piazze esplodono. E la fiducia dei cittadini evapora.
Questo film lo abbiamo già visto. Negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, furono proprio le democrazie incapaci di decidere a spianare la strada al fascismo e al nazismo. Oggi la storia sembra bussare di nuovo alla porta: Le Pen in Francia, l’AfD in Germania, Farage in Gran Bretagna. I populismi non sono più semplici voci di protesta: sono candidati credibili al potere.
Questa deriva interna rende l’Europa sempre più vulnerabile. La Russia avanza in Ucraina; Xi Jinping lavora nell’ombra, costruendo alleanze bilaterali e Trump, dall’altra parte dell’Atlantico, considera l’Europa solo come un supermercato geopolitico: si prende ciò che gli serve, senza offrire nulla in cambio.
A Bruxelles, intanto, l’Unione Europea appare lenta, prigioniera dei suoi stessi meccanismi. Le decisioni arrivano tardi, annacquate da compromessi infiniti. Quella che un tempo era la forza del progetto comunitario – la capacità di mediazione – è diventata il suo limite strutturale. E così l’UE si trasforma in un comodo capro espiatorio per i movimenti nazionalisti: accusata di imporre sacrifici, ma incapace di garantire benefici tangibili.
E allora la domanda si impone: quanto a lungo i cittadini accetteranno una democrazia che non decide, un’Europa che celebra la forma ma tradisce la sostanza? Le urne producono governi deboli, i governi sono immobili, l’immobilismo alimenta la rabbia sociale. È un circolo vizioso che rischia di diventare irreversibile. Se non si spezza questa spirale, il futuro non sarà scritto dai moderati, ma dagli estremisti. E allora, come insegna la storia, il prezzo da pagare sarà altissimo.