L’economia parassitaria degli Stati Uniti - Alessandro Volpi

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di Giacomo Gabellini

Secondo i dati pubblicati dal Bureau of Economic Analysis lo scorso 26 giugno, alla fine del primo trimestre del 2024 gli Stati Uniti accusavano una posizione finanziaria netta negativa per 21,28 trilioni di dollari, a fronte dei 16,93 trilioni registrati nel quarto trimestre 2023. Un ammontare assai cospicuo, pari all’80% circa del Pil e prossima in valore assoluto alla somma delle posizioni finanziarie nette di tutti i Paesi debitori del mondo. Più specificamente, le attività sono cresciute su base annua di 3,24 trilioni di dollari (da 32,54 a 35,78 trilioni), a fronte di un incremento delle passività dell’ordine di 7,59 trilioni (da 49,47 a 57,06 trilioni).

Gli Stati Uniti continuano in altri termini a importare enormi volumi di capitale straniero, prevalentemente sotto forma di investimenti diretti e di portafoglio (acquisto di titoli del Tesoro, obbligazioni societarie e azioni al di sotto del 10% del capitale azionario complessivo). A trainare il processo sono gli alleati internazionali degli Stati Uniti, vale a dire Giappone, Corea del Sud, Australia e, soprattutto, Paesi membri dell’Unione Europea. Se prima dello scoppio del conflitto russo-ucraino avevano manifestato un certo livello di bidirezionalità, con l’adozione delle sanzioni, la recisione del legame energetico con la Federazione Russa e la destrutturazione dell’architettura di sicurezza europea i flussi transatlantici di capitale hanno assunto un senso univocamente favorevole agli Stati Uniti. Le importazioni di capitali (non solo) europei hanno impresso una forte spinta propulsiva all’economia degli Stati Uniti, i quali hanno chiuso il 2023 con una crescita del Pil su base annua pari al 3,1%. Un incremento di 1,5 trilioni di dollari (da 25,35 a 26,85 trilioni), conseguito a fronte di un concomitante aumento del debito netto con l’estero di 3,59 trilioni di dollari (da 16,26 a 19,85 trilioni). La dinamicità economica degli Stati Uniti risulta quindi strettamente dipendente dalla capacità del Paese di attrarre capitali stranieri, nell’ambito di un meccanismo di drenaggio della ricchezza altrui non sostenibile a tempo indeterminato. Parliamo di tutto questo assieme ad Alessandro Volpi, saggista e docente di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa.

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