La strategia di Trump contro il Venezuela: dalla diplomazia coercitiva all’aggressione militare
La militarizzazione della politica estera americana verso l'America Latina rappresenta il passaggio dalla pressione diplomatica ed economica alla preparazione di un'aggressione militare diretta. Nel corso del 2025, l'amministrazione Trump ha intensificato significativamente la sua presenza militare nella regione caraibica. Con il pretesto di combattere il narcotraffico, Washington ha mobilitato ingenti risorse militari. L’obiettivo, però, è tutt’altro: gli Stati Uniti provano a mostrare i muscoli contro l’emergere di un ordine multipolare.
La flotta inviata nel Mar dei Caraibi, con la portaerei USS Gerald R. Ford, la più grande al mondo, accompagnata da tre cacciatorpediniere lanciamissili e da un complesso apparato militare che comprende bombardieri B-1 e B-52, droni Reaper e circa 15.000 effettivi, rappresenta un ritorno del hard power e una minaccia esplicita verso i governi non allineati come il Venezuela. Il contesto della competizione geopolitica globale, in particolare con attori come la Cina e la Russia, ha spinto gli Stati Uniti a puntare i cannoni verso l'America Latina. Il dispiegamento di forze armate nella regione, infatti, manifesta chiaramente l'intento di riaffermare l'egemonia americana nella regione e la retorica della lotta al narcotraffico non è nient’altro che una giustificazione.
L’elemento discorsivo centrale che accompagna quest’operazione, la designazione del Cartel de los Soles come organizzazione terroristica, non è altro che la costruzione discorsiva di un nemico. Secondo la narrativa della Casa Bianca, infatti, il Cartello sarebbe guidato da alti funzionari del governo venezuelano e dallo stesso Presidente Maduro, e opererebbe nel traffico di droga verso gli Stati Uniti. Washington, però, non ha fornito nessuna prova a sostegno di questa tesi. La designazione trasforma così la narrativa della lotta al narcotraffico in una copertura legale per operazioni militari contro uno Stato sovrano, eliminando i vincoli procedurali normali e conferendo a Trump l'autorità di colpire il Venezuela in qualunque momento, con la semplice giustificazione della "guerra al terrorismo".
La retorica sulla lotta al traffico di droga serve da copertura per l'obiettivo reale di Washington: mantenere il dominio sull’economia regionale e reprimere ogni tentativo di sovranità economica, riaffermando la propria egemonia imperiale. L'intensificazione delle sanzioni, le azioni diplomatiche coercitive e i dispiegamenti militari costituiscono elementi di una medesima strategia tesa a destabilizzare il governo di Maduro e garantire il ritorno del Venezuela all'orbita di influenza americana. La differenza consiste nel passaggio da minacce di sanzioni e interferenze diplomatiche — strumenti già utilizzati dalle amministrazioni Biden e Obama — a una diretta aggressione militare.
Nulla di nuovo sotto il sole dei Caraibi. Lo scorso secolo, gli Stati Uniti intervennero ripetutamente in America Latina attraverso colpi di Stato, aggressioni militari e strategie di isolamento economico. La situazione odierna rappresenta la ripetizione di questo copione. Si tratta, in sintesi, di una riarticolazione della dottrina Monroe che si manifesta concretamente nel dare priorità al controllo egemonico dell'America Latina, sul versante geopolitico e sul piano del controllo delle risorse energetiche attraverso il contenimento dell'influenza cinese e il saccheggio imperialista del petrolio venezuelano.

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