La "produttività" mafiosa

“Con la morte di Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss delle stragi, in Italia si è voltato pagina”. Questo l’incipit dell’ultimo libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso intitolato “Una cosa sola. Come le mafie si sono integrate al potere”

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La "produttività" mafiosa


di Carla Filosa

 

L’altra settimana, il 14 di gennaio, sono stati arrestati 15 mafiosi a Messina, dediti allo smaltimento di rifiuti urbani, di rifiuti speciali e rottamazione di veicoli. L’attenzione investigativa alle condotte di queste persone è stata realizzata mediante intercettazioni che hanno rilevato l’impedimento di una rendicontazione aziendale mediante una denuncia sulla perdita di registri, cioè ostacolo alla verifica di utilizzo di un mercato nero in cui sarebbero avvenute vendite senza fatturazione. Abbandonando l’evento cronachistico non nuovo e soprattutto non ultimo in questo paese, e non solo, proviamo a riparlare di mafia chiedendoci come mai emerga solo in fase di arresti, merito di indagini e interventi di polizia, mentre a livello politico e culturale è silenziata ogni problematica o riflessione sull’esistenza, espansione e soprattutto attività mafiosa funzionale.

“Con la morte di Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss delle stragi, in Italia si è voltato pagina”. Questo l’incipit dell’ultimo libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso intitolato “Una cosa sola. Come le mafie si sono integrate al potere”, Mondadori, 2024. Dato l’accattivante titolo, si è pensato di accedere alla loro analisi e condividere con altri ancora le riflessioni scaturite dai dati oggettivi riportati da questi autorevoli autori, tra i pochissimi che ancora parlano di mafia e soprattutto ne contrastano l’attività.

Continua il testo: “Sconfitta la violenta genìa di mafiosi che aveva osato sfidare lo Stato, tutto è stato messo a tacere. Le priorità ora sono altre, come l’abolizione dell’abuso d’ufficio, il ridimensionamento del traffico di influenze, la separazione delle carriere nella magistratura, l’impossibilità per i giornalisti di pubblicare il contenuto delle ordinanze di custodia cautelare, la stretta sulle intercettazioni e sull’uso dei trojan per i colletti bianchi. Fa meno notizia anche la stessa corruzione, se non fosse per qualche indagine che riesce ancora a far breccia nella promiscuità dei rapporti tra politici, mafiosi, faccendieri e boiardi di Stato”.

Fermandoci subito qui, la denuncia di siffatte priorità sono per l’appunto gli obiettivi che questo governo sta diligentemente raggiungendo, nonostante le proteste da parte del presidente dell’ANM, Santalucia, di operare un deciso indebolimento degli strumenti di indagine dei magistrati sui reati praticati da appartenenti alla classe dominante e relativi fedeli servitori, oltre a sottrarre loro l’imputazione di reati altrimenti funzionali al mantenimento di interessi privati e a danno dell’amministrazione pubblica. La corruzione, poi, già da due secoli, è stata individuata nel Capitale di Marx come “necessità del sistema di capitale”.

Ancora il testo: “Sono lontani i tempi di Mani pulite, e poco importa quello che da tempo sostiene il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, secondo il quale la corruzione danneggia la vita delle persone, ledendo i diritti di ciascuno, corrodendo le

fondamenta della società, minando lo Stato di diritto e alterando i mercati. A nulla sono valsi i suoi inviti a considerare la lotta alla corruzione «un dovere delle istituzioni e, al tempo stesso, un impegno etico e civile delle forze sociali, delle comunità, dei cittadini». Parole che non hanno scosso le coscienze, soprattutto quelle di tanti politici che, da Tangentopoli in poi, hanno fatto di tutto per rendere inefficace la lotta contro corrotti e corruttori.

«Controllare per non essere controllati» è il nuovo mantra di chi non perde occasione per considerarsi al di sopra della legge, stravolgendola a proprio vantaggio, in particolare per quanto riguarda i reati contro la pubblica amministrazione. Poco importa se la corruzione è servita anche alle mafie per espandersi, per entrare nelle lobby affaristiche, in cui le uniche regole che contano sono quelle del profitto e del potere. I proventi delle attività illecite gestite dalle mafie ormai sono diventati una componente imprescindibile del sistema economico e finanziario, grazie soprattutto a una crescente capacità di schermarne l’origine attraverso transazioni finanziarie complesse e strutture societarie opache. Come ha messo in evidenza la Direzione investigativa antimafia (Dia) nella sua ultima relazione semestrale, le mafie sono sempre più «espressione e strumento di accumulazione della ricchezza economica e di raffinati processi di espansione speculativa».

Qui ci fermiamo di nuovo perché queste definizioni costituiscono una identificazione inequivocabile del soggetto di cui si sta parlando. Che le mafie (al plurale nella loro storica concretezza, ma al singolare come concetto astratto di capacità estorsiva peculiare in generale di determinati strati sociali) siano al servizio coerente o ormai proprio in prima persona l’agente attivo del sistema di capitale, non avevamo più dubbi. La conferma che proviene da chi le ha studiate e combattute sul piano storico e internazionale da lunghi anni (una trentina, più o meno), ci fornisce l’occasione e la possibilità di affermare con scientifica certezza quanto Marx aveva individuato nella “corruzione”, cioè l’uso di ogni mezzo lecito e non, per accumulare privatamente la ricchezza socialmente prodotta.

Che lo Stato fosse da sempre l’organo politico di questo mdpc lo sapevamo, ciò che invece non era chiaro alle masse in genere cui vorremmo rivolgerci, era l’uso che lo stato ha sempre fatto delle forme criminali presenti sul proprio territorio, si chiamassero picciotti, cosa nostra, ‘ndrangheta, servizi segreti (opportunamente deviati, si deve dire), massoni, fascisti o altro. Che poi questa varietà di nomi rispondesse a un’unità dirigente centrale è stato evidenziato attraverso le stragi nazionali e quelle dei magistrati che ne stavano indagando cause e mandanti.

Leggendo ancora le rilevazioni del libro, da cui ora ci si discosta per dare spazio alle riflessioni sui temi qui affrontati, stiamo cercando le motivazioni di questa ascesa al potere, così sicura e forse anche rapida, in parallelo alla velocità evolutiva di questo capitalismo del III° millennio. In primo luogo proviamo a non condividere la dicitura “criminalità organizzata”, come separazione da uno stato da considerarsi invece unità di legale e illegale. Proprio con l’aiuto di tante indagini, ormai è chiara la duplicità dello stato: quello visibile, governativo e quello oscurato, profondo, segreto ma operativo sul piano fattuale, stragista quando occorre.

Prendendo emblematicamente il business dello smaltimento rifiuti come uno dei settori più redditizi per le mafie, ci viene da pensare che abbiano imparato da Marx quando individua la produttività del capitale come a) “costrizione al pluslavoro” (essendo questo lavoro supplementare erogato gratuitamente), e b) come “personificazione e rappresentante delle forze produttive del lavoro sociale”, nella “costrizione che i capitalisti esercitano l’uno sull’altro e sui lavoratori… come legge del capitale contro entrambi” (K.Marx, VI, I, 15). I mafiosi infatti offrono questo servizio alle aziende con dei costi inferiori perché sfruttano maggiormente i loro smaltitori, coartandoli ad un pluslavoro più intenso e meno remunerato, e vincere così l’appalto sul mercato.

 L’indifferenza a prendere in carico le normative sulla lotta alla corruzione – promosse da Transparency International - al conflitto di interessi e sull’efficacia delle relative sanzioni, contrasto al riciclaggio di denaro, ecc., risulta coerente con il collegamento ai mercati finanziari, all’imprenditoria e all’Internet sommerso. Il capitalismo che gli autori chiamano “spregiudicato e speculativo”, in cui le mafie sono di casa, è per l’appunto la cosiddetta economia legale in cui “il guadagno viene anteposto a tutto il resto” per il normale funzionamento di questo modo di produzione finalizzato alla realizzazione di valore mediante i valori d’uso.

Secondo Rosario Aitala e Antonio Balsamo – viene ancora citato - «la postura ipertecnologica [delle mafie] è garantita dalla contrattazione di esperti che le istituzioni pubbliche non possono permettersi e dall’impiego di piattaforme di comunicazione criptate sconosciute alla stessa generazione Z». Sebbene non manchino precedenti storici che mostrino un’origine dell’economia del delitto legata a forme territoriali come l’abigeato, sequestri di persona, lettere minatorie, contrabbando, immigrazione clandestina, ecc., la moderna scala sociale è stata l’avvio di “traffico di sostanze stupefacenti, psicotrope e psicoattive”.

“Secondo il World Drug Report del 2024, la produzione globale di cocaina ha raggiunto un livello record nel 2022 con oltre 2700 tonnellate, segnando un incremento del 20 per cento rispetto all’anno precedente, e con 355.000 ettari dedicati alla coltivazione della pianta di coca, un aumento del 12 per cento sempre rispetto all’anno precedente. I principali flussi di traffico di cocaina partono dalla regione andina e si dirigono verso altri paesi delle Americhe, oltre che verso l’Europa occidentale e centrale, il secondo mercato più grande dopo il Nord America, sebbene la cocaina raggiunga ormai tutte le regioni del mondo.”  Se poi a questo si aggiunge la produzione delle droghe sintetiche con un’espansione senza precedenti, e “rischio di dipendenza e di conseguenze devastanti per la salute pubblica a livello Globale”, si può capire come ciò possa costituire una grave minaccia per la pace e la sicurezza internazionale, oltre il livello ormai mondiale del controllo di un mercato tra i più redditizi.”

Le mafie ormai non rappresentano più solo un problema di ordine pubblico, in quanto “penetrano in profondità nelle strutture economiche e sociali, influenzando e corrompendo istituzioni e mercati…perpetuando disuguaglianze e ingiustizie, mediante la loro capacità di mimesi e riproduzione della realtà ambientale, sociale e culturale in cui operano…oltre al percorso di normalizzazione” istituzionale.

“Secondo lo studio di Federconsumatori, il gioco online è anche un importante canale per il riciclaggio di capitali” … su cui ci si attiva “per assumere la gestione dei centri scommesse riuscendo a realizzare un controllo diffuso sul territorio di competenza nel mercato legale dei giochi e scommesse online sfruttando società di bookmaker con sede formale all’estero”. In termini economici marxiani si chiama tendenza al monopolio, alla concentrazione e centralizzazione di capitale. Si è entrati in “possesso di alcuni codici bancari, attraverso i quali sarebbe stato possibile lucrare sugli interessi, … tramite conti correnti offshore, … e di controllare un’intera struttura bancaria.”

“Un ulteriore aspetto della legittimazione mafiosa riguarda la «governance», ovvero la capacità dei vari clan mafiosi di dirimere contrasti, controllare mercati leciti e illeciti, creare cartelli, garantire manodopera a basso costo, recuperare crediti e influenzare le scelte politiche del territorio. Quella della governance è una delle caratteristiche costitutive delle mafie che si interseca con il controllo del territorio, nella gestione di servizi e prodotti legali e illegali.”

“Prima dello sviluppo del dark web, i soldi derivanti dall’evasione fiscale e dal riciclaggio di proventi illeciti confluivano spesso negli stessi circuiti, passando dai medesimi studi legali. Le destinazioni predilette erano i paradisi fiscali e bancari, giurisdizioni nebulose istituite dai maggiori istituti di credito. Molti ricorderanno lo studio legale Mossack Fonseca, che ha avuto un ruolo centrale nei cosiddetti «Panama Papers», la massiccia fuga di dati avvenuta nel 2016 che ha esposto una vasta rete di strutture offshore utilizzate per l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro. Questo studio legale, con sede a Panama ma operante in 42 paesi, ha aiutato clienti di vario genere, tra cui uomini politici, dittatori sanguinari, narcotrafficanti, celebrità dello spettacolo e atleti di fama mondiale, a nascondere i loro beni attraverso complesse configurazioni di società fantasma e trust offshore”.

“L’evoluzione più pericolosa delle mafie … è la normalizzazione e la quasi istituzionalizzazione di architetture sociali nelle quali si riuniscono in geometrie variabili e si confondono mafiosi, criminali comuni, politici, funzionari pubblici, imprenditori, professionisti, faccendieri, notabili. Grumi di interessi e affari sono il collante che salda spezzoni del sottomondo mafioso e del sopramondo ufficiale nel «mondo di mezzo» in cui si incontrano relazioni di complicità, collusione, ciò che è non appare, un luogo di ambiguità in cui i malviventi assumono le sembianze di galantuomini e coloro che dovrebbero servire l’interesse comune agiscono da malfattori”.

Nonostante nel testo si avverta un tono con una valenza morale onnipresente, si trae tuttavia con sufficiente chiarezza, già da queste prime pagine, che la fine delle stragi di mafia hanno segnato l’ingresso nelle stanze del potere. La guerra allo stato non ha più ragione d’essere poiché si è entrati nello stato e nei suoi corridoi occulti, nei luoghi dove si danno direttive e si realizzano poteri paralleli. L’attacco alla magistratura proposto sin dal 1976 dalla P2 (mafia e massoneria) e da allora definita eversiva, si sta portando ora a compimento per eliminare controlli sgraditi al mercato clandestino di un capitale sempre più bisognoso di un’accumulazione in crisi mondiale. Il denaro lecito o illecito ugualmente non olet e se questo richiede qualche ulteriore vittima, guerra, golpe o massacro non ci si tirerà sicuramente indietro. I residui sostenitori della democrazia se ne facciano una ragione dunque, il modo di produzione capitalistico non può più mostrare una facciata compatibile con la sopravvivenza di chi non serve a produrre plusvalore o a cederlo docilmente. Ogni distinzione degli accaparratori della ricchezza - socialmente prodotta e asocialmente sottratta - diventa inutile di fronte a un potere comune che si appresta a divenire dispotico in forma definitiva. Se la cosiddetta mafia si è trasformata in capitale operativo, tecnologicamente agguerrita e funzionale al conflitto mondiale, avrà modo di scegliere i settori più profittevoli per procurarsi zone di dominio più incontrastabile e duraturo, essendo già stato sottomesso e precarizzato legalmente il lavoro salariato. Il processo di centralizzazione del capitale non è ancora terminato come è tuttora in corso il tentativo di recupero del declino dell’Occidente, Usa in primis. Il silenzio e l’impotenza imposti alle masse subalterne e depredate sui piani transnazionali potrebbero però cessare senza preavviso, nei contemporanei teatri dei massacri previsti.

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