Il trend petrolifero e valutario dopo i tagli dell'Opec
di Demostenes Flores - Aboutenergy.com
A gennaio, i prezzi del barile sono significativamente aumentati perché i membri dell’OPEC+ hanno iniziato a implementare gli accordi decisi durante il meeting di Vienna del 30 novembre 2018. Nello specifico, i produttori di petrolio avevano deciso di tagliare le estrazioni per un ammontare pari a 1.200.000 b/g nel corso del primo semestre del 2019 con l’obiettivo di rimuovere l’eccesso di offerta presente nel mercato petrolifero.
Nel primo mese del 2019, la qualità Brent North Sea ha aperto le quotazioni a 54,75 $/b e le ha chiuse a 61,06 $/b, mentre il West Texas Intermediate ha aperto le contrattazioni a 46,6 $/b, chiudendole a 54,15 $/b. Sia il benchmark (riferimento) europeo e asiatico, sia quello americano hanno raggiunto il massimo mensile il 21 gennaio – rispettivamente quotando, 62,83 $/b e 54,19 $/b – in virtù della crisi politica scoppiata in Venezuela, lo Stato con le maggiori riserve petrolifere al mondo. Nel momento in cui scriviamo (8 febbraio), i prezzi del barile stanno incrementando in virtù della diminuzione delle esportazioni saudite verso gli Stati Uniti. Nello specifico, nel corso della seconda metà di gennaio, le spedizioni via mare sono calate da 528.000 b/g a 442.000 b/g, il minimo negli ultimi due anni.
In aggiunta all’accordo petrolifero dell’OPEC+ e ai tumulti presenti nello paese Latinoamericano, un ulteriore fattore rialzista è stato il seppur tenue deprezzamento del dollaro e l’impressione che la Federal Reseve non adotterà una politica monetaria fortemente restrittiva come ipotizzato nel recente passato.
Nel contempo, il mercato petrolifero è stato caratterizzato anche da alcuni fattori ribassisti, tuttora presenti, tra i quali:
1. L’11 gennaio 2019, gli USA hanno estratto il record di 11.900.000 b/g. Tuttavia, una serie di segnali – a partire dal trend delle trivelle attive – suggeriscono che l’output di tight oil e shale gas rallenterà la propria crescita nel 2019;
2. Nel 2018, si prevede che il PIL della Cina crescerà del 6,6%, il tasso più basso dal 1990 a oggi.
Secondo le stime del report pubblicato dall’International Monetary Fund il 21 gennaio, l’economia mondiale aumenterà del 3,5% nel 2019 e del 3,6% nel 2020. Nel Trattasi della seconda revisione al ribasso (-0,2% e -0,1%) nel corso degli ultimi tre mesi. “La crescita globale si sta espandendo a un ritmo salutare, ma stiamo assistendo a un rallentamento” ha affermato la responsabile della ricerca, Gita Gopinath, precisando che “nell’economia globale sussistono una serie di rischi ribassisti”.
Se l’intensità della crescita globale pone una minaccia alla domanda di petrolio, le nuove sanzioni USA imposte alla compagnia Petroleos de Venezuela SA il 29 gennaio rappresentano un ulteriore rischio sul versante dell’offerta che potrebbe sfociare in una maggiore volatilità dei prezzi.
Non a caso, secondo il rapporto reso noto dal World Gold Council, la domanda globale di oro ha raggiunto le 4.345,1 t nel 2018, in aumento del 4% rispetto al 2017. Tale crescita è stata trainata dalle banche centrali, le quali hanno accresciuto le loro riserve in oro per un ammontare pari a 651,5 t (+74% anno su anno), mentre gli acquisti netti sono giunti ai massimi dalla fine della convertibilità del dollaro con il “metallo prezioso”, cessata nel lontano 1971. La Banca Centrale Russa è stata il principale acquirente globale di oro nel 2018. Nello specifico, essa ha venduto tutti i titoli di Stato USA che aveva in bilancio, acquistando nel contempo 274,3 t di oro. In questa maniera, la Federazione Russa è diventata il quinto possessore al mondo di oro dopo gli Stati Uniti d’America, la Germania, la Francia e l’Italia.
Da ultimo, ma non per questo di minore importanza, le riserve russe denominate in valuta straniera sono incrementate dell’8,3%, crescendo dai 432 miliardi di dollari del 2017, ai 468 miliardi di dollari del 2018.
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