IL COVID-19 HA FATTO EMERGERE MAGGIORI DISUGUAGLIANZE IN ITALIA E NEL MONDO

IL COVID-19 HA FATTO EMERGERE MAGGIORI  DISUGUAGLIANZE IN ITALIA E NEL MONDO

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di Michele Blanco*

Pochi mesi dopo l’inizio della pandemia, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha osservato che «galleggiamo tutti nello stesso mare, ma è chiaro che alcuni si trovano a bordo di super-yacht, mentre altri si aggrappano a dei rottami che vanno alla deriva». Purtroppo l’evidenza è che con l’arrivo del Covid,

le disuguaglianze sociali ed economiche tra le persone si sono acuite sia nei singoli stati che a livello globale. Il virus ha fatto irruzione in un mondo già profondamente strutturato da profonde disuguaglianze che sono in costante aumento. Il Covid ha reso tali disuguaglianze ancor piú visibili e le ha enormemente amplificate. Si è registrato che, come spesso è capitato nella storia dell’umanità, i ricchi sono diventati piú ricchi, mentre i poveri sono diventati molto piú poveri. Vogliamo mettere in evidenza tre tipi di disuguaglianze che sono senza dubbio relative al Covid.

Una di carattere logistico, vi sono delle disuguaglianze dovute al livello delle cause e della grande contagiosità della malattia, che si trasmette per via aerea, diffondendosi attraverso le goccioline che emettiamo respirando o con tosse e starnuti in situazioni di contatto fisico ravvicinato. I gruppi piú poveri vivono in condizioni di vita e di lavoro molto piú affollate e a contatto. Hanno quasi sempre meno accesso a spazi privati e isolati personali. Di conseguenza cercare di mantenere la distanza sociale, a casa come al lavoro, è difficile e spesso impossibile. Non è affatto possibile isolarsi socialmente in favelas, campi profughi e abitazioni sovraffollate, ma nemmeno in semplici condomini. I ogni nazione si sono registrati degli specifici gruppi sociali che vengono colpiti dalle malattie piú di altri, e questi gruppi sono sempre, in genere, i poveri, le persone con disabilità e le minoranze etniche. I dati del Covid sembrano dimostrarlo chiaramente.

In secondo luogo, vi sono delle grandi e ingiustificate disuguaglianze al livello dell’assistenza e del trattamento della malattia. Tutto dipende dalla capacità delle politiche nazionali e mondiali di garantire un accesso equo a farmaci, assistenza sanitaria, dalle strutture sanitarie presenti sul territorio e disponibilità dei vaccini.

I paesi svantaggiati, come le persone svantaggiate, dispongono di servizi sanitari piú scadenti; il Covid ha messo in evidenza lo stato di abbandono in cui versano le strutture sanitarie pubbliche a livello mondiale. In tutti i paesi piú ricchi esistono delle grandissime divisioni nette tra servizi sanitari privati per coloro che possono pagarsi un’assicurazione o le cure, e le strutture pubbliche. Secondo le Nazioni Unite, «i paesi sviluppati hanno 55 letti di ospedale, piú di 30 medici e 81 infermieri ogni 10 000 persone. Per lo stesso numero di persone, in un paese meno sviluppato ci sono 7 letti, 2,5 medici e 6 infermieri. Persino i beni di prima necessità come il sapone e l’acqua non contaminata sono un lusso per troppe persone».

Allo stesso modo, quando è stato disponibile il vaccino, ci si è posti la questione di chi dovesse avere priorità nell’accedervi per primo: delle disuguaglianze da questo punto di vista si sono rapidamente manifestate in tutto il mondo. In Italia una personalità politica come Letizia Moratti ha affermato che bisognava vaccinare i lombardi per primi perché la Lombardia è il cuore economico dell’Italia. Tutte le nazioni piú povere non sono riusciti ad accedervi subito, mentre quelli piú ricchi si sono lanciati in una corsa sfrenata per accaparrarseli. Molte persone facoltose sono andate in cliniche private all’estero per essere subito vaccinate.

Al terzo posto consideriamo le disuguaglianze dal punto di vista dell’impatto del virus. L’intera popolazione del pianeta ha dovuto subire delle restrizioni dei diritti umani a causa del Covid. Ma chi ha poche risorse già in partenza ne avrà, ne ha avute, ancora meno dopo una pandemia. Le persone povere non sono in grado di condurre una vita che possa permettere di proteggersi e di adattarsi a un nuovo modo di vivere. Tutte le persone che hanno un reddito basso o nullo, ai disabili, ai tantissimi bambini in condizioni di povertà, a chi è costretto a vivere in scarse condizioni igienico-sanitarie, agli affamati, alle persone affette da piú malattie, a tutti coloro che non hanno accesso al digitale sono tutti questi soggetti hanno visto peggiorare le proprie condizioni di vita. Il mondo, in sostanza, sta affrontando una «pandemia di violazioni dei diritti umani».

Già nel gennaio 2021, Oxfam ha pubblicato un rapporto intitolato Il virus della disuguaglianza. Ecco le conclusioni: «Il Covid-19 è potenzialmente destinato a produrre un simultaneo aumento delle disuguaglianze in quasi tutti i paesi del mondo, fatto inedito da quando la disuguaglianza ha iniziato a essere monitorata, piú di un secolo fa».

Una crisi delle disuguaglianze nel ventunesimo secolo. La pandemia mondiale ha reso piú evidenti le grandi disuguaglianze esistenti a livello mondiale. Viviamo in un mondo in cui un numero estremamente ristretto di persone, concentrate nei paesi più ricchi, gode di tutti i privilegi associati alla ricchezza e dispone quindi di ottime opportunità di condurre una «buona vita», degna di essere vissuta. Un’enorme massa di persone considerate ineguali, per questo sofferente, resta invece esclusa da tutto il benessere che invece sarebbe possibile avere con una più equa distribuzione dei beni essenziali.

Tutta la storia umana è stata caratterizzata da grandi disuguaglianze e ingiustizie. Ma le disuguaglianze globali hanno cominciato a diminuire a partire dal 1945, infatti all’epoca si introdussero, almeno nel mondo occidentale e nel blocco Sovietico, dei servizi nazionali di protezione sociale. Ma dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso con l’ascesa del thatcherismo, del reaganismo e del neoliberismo affermatosi a partire dai successivi anni Ottanta. La situazione è peggiorata ulteriormente, e molto drammaticamente, con il crack finanziario del 2008, tipica crisi ciclica del capitalismo e ancor di più con l’arrivo del Covid-19. Molti importanti e seri studiosi sostengono che quello delle disuguaglianze è ormai divenuto uno dei problemi piú scottanti del pianeta. Vediamo alcuni dati concreti:

– Nel 2020, i 2153 miliardari piú ricchi del mondo avranno piú ricchezza dei 4,6 miliardi di persone che costituiscono il 60% della popolazione mondiale.

– L’1% piú ricco guadagna piú del doppio del reddito della metà della popolazione mondiale.

– Nel 2015 (secondo le ultime stime disponibili), il 10% della popolazione mondiale viveva in condizioni di estrema povertà (ossia con meno di 1,90 dollari al giorno).

– La metà dei 736 milioni di persone che versano in condizioni di povertà estrema a livello globale vive in cinque paesi: India, Nigeria, Repubblica democratica del Congo, Etiopia e Bangladesh.

– Tre miliardi di persone non hanno accesso all’assistenza sanitaria. La malnutrizione è la principale causa di problemi di salute e decessi nel mondo. A livello globale, una persona su nove soffre di fame o di malnutrizione. L’intero budget sanitario dell’Etiopia, paese di 105 milioni di abitanti, equivale ad appena l’1% del patrimonio dell’uomo piú ricco del mondo, il Ceo di Amazon Jeff Bezos.

– A livello internazionale, 2,2 milioni di persone non hanno accesso a forniture di acqua potabile e non contaminata, disponibile nelle vicinanze e quando serve.

 – Le disuguaglianze variano notevolmente a seconda delle regioni del pianeta. Per quel che riguarda le persone che guadagnano di piú, queste rappresentano il 37% del reddito nazionale in Europa, il 41% in Cina, il 46% in Russia, il 47% in Canada e negli Stati Uniti. I paesi scandinavi sono quelli che soffrono meno di disuguaglianze; all’estremo opposto troviamo invece il Sudafrica e gli stati arabi.

Queste statistiche sono serie e comprovate da un ampio corpus di studi. Come dai pregevoli lavori di Thomas Piketty e dei suoi colleghi del World Wealth and Income Database e dalla Rich List («Forbes», «Sunday Times»).  Naturalmente bisogna tenere presente sempre le difficoltà di raccolta e elaborazione dei dati visto che è difficile misurare molti di questi aspetti nei paesi ricchi, figuriamoci in quelli poveri. Quello che ci sembra importante è che questi numeri mostrano l’esistenza di un profondissimo divario. Purtroppo inconfutabile è che miliardi di persone vivono oggi in una situazione di povertà assoluta o estrema, mentre pochissime persone godono di una ricchezza infinita. Si tratta davvero di un’enorme disuguaglianza.

In Italia dobbiamo purtroppo registrare che malgrado tutto quanto è accaduto con la pandemia si è colpita e si continua a colpire uno dei cardini dello Stato sociale: la sanità. La conferma viene dalla Corte dei Conti che, nell’ultimo referto indirizzato al Parlamento sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali, mette nero su bianco gli effetti della spending review. 

Il documento si compone di 256 pagine fitte di numeri e tabelle, che restituiscono l’immagine di un Paese in cui, nonostante l’invecchiamento della popolazione, negli ultimi anni i governi di ogni colore che si sono succeduti hanno scelto di tagliare quelle che ritenevano, evidentemente, uscite superflue. «Le politiche di contenimento della spesa sanitaria condotte attraverso i Piani di rientro regionali e aziendali e la spending review», scrivono i magistrati contabili, «sono state nel corso del decennio passato assai efficaci». Tra il 2017 e il 2019, infatti, l’aumento della spesa «è risultato essere inferiore, rispetto ai tendenziali delineati dal Def 2016, di 7,2 miliardi in valori cumulati, e i disavanzi dei Servizi sanitari regionali si sono ridotti, nell’arco temporale 2012-2020, da 2,1 a 0,7 miliardi».

Non solo. Mentre tra il 2000 e il 2008 la spesa sanitaria corrente, ovvero al netto degli investimenti, è cresciuta del 60,4% a una velocità doppia rispetto al Pil (+31,9%), nel periodo compreso tra il 2008 e il 2019 è aumentata soltanto del 6,6%, tre punti percentuali in meno dell’incremento del Pil (+9,7%). Insomma, gli esborsi per pagare infermieri, medici, farmaci e cure per i pazienti sono stati contenuti in modo estremamente drastico. Il punto da mettere in evidenza è che l’Italia rappresenta un unicum a livello europeo. Il capitolo del documento della Corte dei Conti dedicato al confronto con gli altri grandi Paesi Ue delinea infatti i contorni di uno scenario assolutamente eccezionale.

Nel 2020 la spesa sanitaria pubblica pro capite in Italia si è attestata a 2.851 dollari all’anno (2.630 euro), contro i 5.905 dollari assicurati a ogni cittadino tedesco, i 4.632 dollari dei francesi e i 4.158 dollari degli inglesi. Insomma, un abisso che si è progressivamente allargato nel corso del decennio 2008-2019 e che nemmeno durante la pandemia si è riusciti a colmare. Nel solo 2020, la spesa pro capite italiana è cresciuta dell’8,4% e l’anno dopo del 7,1%, molto meno che nel Regno Unito (+20,2%), meno che in Germania (+9,7%) e Spagna (+9,5%) e un po’ di più che in Francia (+5%).

Tuttavia, le maggiori risorse stanziate dai governi per far fronte all’emergenza sono state insufficienti per recuperare oltre dieci anni di tagli. Tra il 2008 e il 2019, infatti, la spesa sanitaria pro capite è aumentata del 34,5% in Francia, del 40,1% nel Regno unito, dell’81,4% in Germania e solo del 15,4% in Italia. Appare quindi evidente che il problema è strutturale. Il Covid, insomma, è andato ad incidere su un sistema che già da anni scontava una situazione di un gradissimo sottofinanziamento, con liste d’attesa infinite, cure non erogate e una carenza cronica di risorse umane. Basta guardare all’andamento della spesa sanitaria in rapporto al Pil che, sempre tra il 2008 e il 2019, in Italia si è ridotta dello 0,2%, passando dal 6,6% al 6,4%. Nello stesso lasso di tempo, Francia, Germania e Regno Unito, invece, l’hanno aumentata in media di quasi due punti percentuali, portandola, nel 2020, su valori pari o superiori al 10%.

Anche guardando ai dati più recenti la situazione non cambia. Nel 2021, il nostro Paese ha speso in sanità il 7,1% del Pil, una percentuale superiore soltanto alla Grecia (5,9%), mentre Madrid destinava il 7,8% del proprio reddito nazionale, Londra il 9,9%,Parigi il 10,3% e Berlino addirittura il 10,9%. I magistrati contabili, non persone rivoluzionarie, ci dicono che la maggior crescita della spesa nei Paesi europei dipende in parte da «scelte di policy» e in parte da una più grande «dinamicità delle rispettive economie». Insomma, tutti i governi italiani, degli ultimi decenni, hanno preferito destinare ad “altro”, negli ultimi mesi in particolare a spese militari e armamenti, le poche risorse a disposizione, limando, vergognosamente, il più possibile la spesa sanitaria.

A questo punto ci dobbiamo tutti chiedere in che mondo viviamo? Ma per noi italiani, visto le differenze di spese per la sanità pubblica, per non parlare delle differenze di spese sociali, con gli altri paesi europei in che nazione viviamo?

*Questo articolo è stato pubblicato su https://www.eguaglianza.it/

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