Cosa si nasconde (veramente) dietro le parole di Victoria-fuck-the-EU-Nuland

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Cosa si nasconde (veramente) dietro le parole di Victoria-fuck-the-EU-Nuland

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 di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

Sullo sfondo dei fantomatici accenni occidentali ad altrettanto immaginari “colloqui di pace” sull'Ucraina, ora che le sorti militari di Kiev appaiono sempre più disperate, è di un certo interesse l'intervista concessa Victoria Nuland al direttore del canale liberal-reazionario russo “Dožd” Mikhail Zygar, in cui l'ex vice Segretaria di stato snocciola candidamente come gli anglo-americani avessero mandato all'aria le trattative russo-ucraine a Istanbul nel marzo 2022.

Nulla di nuovo, ovviamente, ma un'ulteriore conferma di come la carne da cannone ucraina, ormai da due anni e mezzo, venga scientemente mandata al macello per le mire USA-NATO nei confronti della Russia.

Furono i turchi a proporre la piattaforma, dice Nuland; «Noi non eravamo presenti. In effetti, non eravamo molto al corrente dei dettagli dell'accordo... Tuttavia, in una delle fasi successive, gli ucraini cominciarono a chiedere consigli su dove tutto questo avrebbe portato».

Washington considerava la condizione principale posta dalla Russia, svantaggiosa per l'Ucraina, dato che sembrava consistere nel renderla “neutrale” sul piano militare, senza al contempo imporre una simile restrizione alla Russia: «All'interno e fuori dell'Ucraina cominciarono a chiedersi se l'accordo fosse buono, e proprio a quel punto tutto andò all'aria».

Già a fine 2022, tirando le somme di quell'anno per l'Ucraina, la rivista russa Vita Internazionale notava come anche la proclamata e contraddittoria “disponibilità” di Kiev ai negoziati fosse stata bloccata da Washington e Bruxelles, così che l'Ucraina si ritirò unilateralmente da Istanbul. Fu allora che Joseph Borrell dichiarava che «l'Ucraina deve vincere sul campo di battaglia».

Nulla di nuovo, dunque, da parte di Victoria-«Fuck-the-EU»-Nuland, da sempre generosa non solo di biscotti agli squadristi in majdan Nezaležnosti, ma soprattutto interessate attenzioni ai neonazisti della junta andata al potere a Kiev nel 2014.

Di fatto, nota l'americanista Dmitrij Drobnitskij su Ukraina.ru, l'uscita della Nuland è sostanzialmente un tentativo di inserire la propria persona nel novero di coloro che dissuasero Kiev dal prendere decisioni che avrebbero reso l'Ucraina «castrata e smilitarizzata in cambio di nulla». Già in passato l'ex premier britannico Boris Johnson si era vantato di aver influenzato il fallimento di Istanbul, allorché le parti erano riuscite a concordare un elenco di accordi, poi deragliati per volere degli “alleati”.

In realtà, aggiunge Drobnitskij, nessuno chiese consigli a Nuland, che all'epoca era “al di sotto della portata dei radar”, ma sperava d'altro canto in un avanzamento di carriera, finito poi invece nelle sue dimissioni nel marzo scorso. Così che ora ha colto l'occasione dell'intervista per iscriversi al club di coloro che fecero fallire Istanbul. Significativo, soprattutto, che l'intervista sia stata data a un'emittente liberale russa e non al New York Times, oppure a Politico e nemmeno al britannico The Guardian. Ovviamente, però, se davvero nel marzo 2022 fosse stato chiesto a Nuland se si dovessero ridurre le ostilità, lei sarebbe stata contraria, nello spirito del suo trascorso pre e post-majdanista.

In un certo senso, dice ancora Drobnitskij, per quanto riguarda Nuland, è più o meno la stessa cosa dell'ex consigliere presidenziale per la sicurezza nazionale, John Bolton: «materiale già consumato. Ci sono molti attori più interessanti di Nuland, una figura emarginata che è un ostacolo per molti». Perché, in fin dei conti, per coloro che insistono sul proseguimento del conflitto, è importante mostrare il proprio ruolo nelle azioni in corso; mentre per altri, che «comprendono quanto sia gravoso l'aggravarsi della situazione per qualsiasi amministrazione statunitense, puntano sulla opzione di una rapida risoluzione».

Sia l'intervista di Nuland, chiosa Ukraina.ru, come la recente dichiarazione congiunta dell'MI6 e del capo della CIA al Financial Times, in cui Richard Moore e Bill Burns hanno dichiarato che USA e Gran Bretagna si trovano ad affrontare minacce “senza precedenti” da parte di Russia e Cina, sono anelli della stessa catena. Al di qua e al di là dell'Oceano, qualcuno si rende conto che entrambi i candidati alla presidenza USA non hanno idee molto chiare sull'Ucraina e mira dunque «a far sì che, pur se molto negativo sia per Kiev che per i “falchi” euroatlantici, l'intera vicenda si chiuda quanto prima, in modo che la nuova amministrazione non abbia questo problema per le mani».

Ricordando sommariamente la cronaca del marzo-aprile 2022, Vita Internazionale scrive che la posizione di Kiev, inizialmente propensa al negoziato, venne repentinamente mutata immediatamente dopo il rientro della delegazione ucraina da Istanbul e la de-escalation russa sui fronti di Kiev e Cernigov: il pretesto per tale cambiamento fu la provocazione di Bucha, organizzata in marzo dalla junta nazista. Il successivo 7 aprile, poi, l'approvazione da parte del Senato USA della legge sulle forniture di armi all'Ucraina col programma Lend-Lease, consolidava ulteriormente il controllo yankee su Kiev, a conferma della volontà USA-NATO di continuare la guerra.

La situazione si sviluppava quindi con una escalation occidentale in ogni direzione: sanzioni sempre più gravi alla Russia, culminate con il brillamento del North stream, aumento di forniture di armi a Kiev e massiccio arrivo di mercenari stranieri in Ucraina, trasformata da zona cuscinetto e avamposto occidentale, in paese assolutamente subordinato agli interessi di Washington, quale arma contro la Russia.

È tornato sul tema ucraino il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, intervenendo lunedì dalla capitale saudita El Riad.

Anche alla luce dei tentativi di Olaf Scholz di presentarsi in veste di “colomba di pace” sull'Ucraina, sottoscrivendo le parole di Vladimir Zelenskij, per cui al prossimo “summit di pace” dovrà essere presente anche la Russia, ha detto Lavrov, l'iniziativa di Zelenskij è nota da tempo e per tutti è già diventata stantia. «Si tratta di un vero e proprio ultimatum» ha detto Lavrov, e il fatto «che l'Occidente vi si aggrappi, significa che non vuole negoziare onestamente». L'Occidente vuole continuare a fare tutto il possibile per portare la Russia a un punto in cui possa annunciare la nostra sconfitta strategica sul campo di battaglia. Lavrov ha anche aggiunto che Mosca non ha mai considerato la cosiddetta “formula Zelenskij” un argomento serio e ha specificato che priorità assoluta per la Russia è che la popolazione russa in Ucraina sia trattata come esseri umani: «Nessuno “scambio di territori”, di cui parla l'Occidente, risolverà la questione fondamentale dei diritti delle persone».

Ancora più esplicito l'ex Ministro della difesa e attuale Segretario del Consiglio di sicurezza russo, Sergej Šojgù che, in un'intervista al canale TV Rossija 24, ha detto chiaro e tondo che «noi, coi terroristi, non abbiamo mai condotto alcun negoziato, non lo stiamo conducendo e non lo condurremo mai».

Le “formule Zelenskij” euro-majdaniste-atlantiche sono avvisate.

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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