Basta evocare il pericolo fascista per coprire le vostre mancanze!

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Ha perfettamente ragione chi, rievocando episodi di un passato ben più caldo del presente, ricorda quando fu il Movimento del ‘77 a cacciare a sassate l’allora segretario CGIL Luciano Lama. Fra l’altro in uno scenario, quello della Sapienza, in cui campeggiava un bel pupazzo che pendeva da una forca. Oppure quando furono le BR ad ammazzare brutalmente Guido Rossa, anche lui sindacalista della CGIL.
 
Il fatto che Forza Nuova tenti di egemonizzare la protesta contro il greenpass, o cerchi di dirigere l’assalto al sindacato, non sposta di un millimetro la questione centrale: le enormi responsabilità dei sindacati confederati rispetto a quanto accaduto in questi anni in un mondo del lavoro sempre più brutalmente ricattato e svilito.
 
Ancora una volta la sinistra italiana si fa imbambolare dalla storiella dei fascisti e perde completamente di vista le reali motivazioni che agitano gli strati più sofferenti della società. Un’incapacità avvilente di comprensione della realtà (e di quanto cova sotto di essa) che si è trasformata in tradimento conclamato. Condizione ormai evidentissima - soprattutto a quei lavoratori che soffrono in prima persona tutte le storture delle politiche messe in atto da due decenni a questa parte - sottolineata dalla convocazione della “manifestazione antifascista”.
 
Come se l’unico pericolo fosse ancora una volta quello. E non gli oltre 800 morti sul lavoro nei primi dieci mesi dell’anno, il lavoro sottopagato, lo sfruttamento dei precari e ciliegina sulla torta milioni di lavoratori che rischiano di restare tre mesi a casa senza stipendio perché non vogliono farsi somministrare un vaccino non obbligatorio.
 
Non si può pensare di restare comodamente seduti dietro una scrivania per due anni, limitandosi a mandare in tivù il segretario a parlare di ius soli come priorità o ad applaudire ossequiosamente l’avvento del governo Draghi, mentre le aziende continuano a delocalizzare e i lavoratori finiscono a fare la fila alla Caritas, e poi cadere dal pero perché la gente si incazza. Anche perché quella è gente che, per quanto faccia comodo etichettarla come popolino ignorante, ha occhi per vedere la CGT francese scendere in strada al fianco dei lavoratori contro il greenpass.
 
Ed ecco che fa comodo evocare il pericolo fascista. Così facendo si nascondono le proprie gigantesche mancanze nei confronti di piazze che sinistra e sindacati non riescono più a riempire manco se pagano pullman e pranzo al sacco. Certo, lì davanti i fascisti c’erano per davvero. Ma le loro comparsate su commissione sono essenziali per costruire una narrazione ad uso e consumo del governo (a cui i sindacati si stanno ancora una volta miopemente prestando) che suona più o meno così: sono stati i fascisti, i No Greenpass sono fascisti, quindi il greenpass è antifascista.
 
E serve davvero a poco sostenere che se non fossero stati veramente fascisti avrebbero assaltato la sede di Confindustria e non la CGIL. Perché questo presupporrebbe l’esistenza di una coscienza politica e di classe che di fatto non esiste più. Anche (o soprattutto) per responsabilità dei sindacati e dei partiti di sinistra.
 
Quella che sta andando in scena in queste ore è la pura rabbia sociale di una massa informe di gente esasperata che, a torto o a ragione, finisce per prendersela con chiunque gli capiti a tiro. In primis con chi avrebbe dovuto tutelarla. Rabbia cieca e irrazionale esattamente come sempre avviene in ogni rivoluzione popolare e spontanea.
 
Rivoluzione appunto. Parola evocata e stra-abusata per mezzo secolo da quelle stesse persone che oggi invocano i manganelli contro i manifestanti solo perché hanno definitamente perso l’egemonia su di essi. E adesso, per dirla con gli esuli della Comune di Parigi, rischiano di finire come i Versagliesi di sinistra e di destra che apparivano uguali di fronte all’odio del popolo.

Antonio Di Siena

Antonio Di Siena

Direttore editoriale della LAD edizioni. Avvocato, blogger e autore di "Memorandum. Una moderna tragedia greca" 

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