Argentina in crisi: povertà al 52,9% e licenziamenti di massa con il governo Milei

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Argentina in crisi: povertà  al 52,9% e licenziamenti di massa con il governo Milei

L'Argentina rappresenta oggi uno dei casi più emblematici del fallimento delle politiche neoliberiste nel mondo. Il recente aumento della povertà al 52,9% della popolazione, secondo i dati diffusi dall'Istituto Nazionale di Statistica e Censimenti (Indec), è solo l'ultimo segnale di un sistema che ha devastato l'economia e la società del paese. Il presidente Javier Milei, grande sostenitore di un approccio economico basato su tagli drastici alla spesa pubblica e privatizzazioni massicce (leggi neoliberismo selvaggio), ha portato avanti una serie di riforme che, lungi dal risanare la nazione, hanno affondato ulteriormente milioni di argentini nella miseria.

Disoccupazione, povertà e distruzione del tessuto sociale

Dall’inizio della presidenza di Milei, la situazione socioeconomica dell’Argentina è peggiorata a ritmi allarmanti. Il tasso di disoccupazione è aumentato al 7,6% nel secondo trimestre del 2024, mentre più di 125.000 posti di lavoro sono stati persi nel settore privato nei primi sette mesi dell'anno. Ma è la povertà, soprattutto, a destare maggiore preoccupazione: ben 24,9 milioni di argentini vivono al di sotto della soglia di povertà, e di questi, 8,5 milioni sono in condizioni di assoluta indigenza, privi del minimo necessario per nutrirsi adeguatamente.

Il governo di Milei ha risposto a questa situazione con ulteriori tagli e licenziamenti di massa nel settore pubblico, con circa 65.000 dipendenti statali che rischiano di perdere il lavoro entro la fine del mese di settembre. Questi provvedimenti hanno colpito soprattutto i settori più vulnerabili, come la Segreteria dei Diritti Umani e il Ministero del ‘Capital Umano’, dove sono stati licenziati lavoratori sociali, psicologi e altre figure professionali impegnate nel sostegno delle comunità più colpite dalla povertà. Invece di intervenire per arginare l'emergenza sociale, l'esecutivo guidato dall’ottuso neoliberista, sionista e guerrafondaio convinto, ha preferito insistere su un modello economico che sta distruggendo il tessuto sociale del paese.

Non solo Argentina

Il caso argentino non è isolato. Anzi, rappresenta la normalità in questo senso. Il neoliberismo, con le sue politiche di austerità e deregulation, ha dimostrato i suoi limiti in numerose altre nazioni. Tra gli esempi più lampanti vi è il Cile, che dopo aver abbracciato le teorie economiche della “Scuola di Chicago” sotto la dittatura fascista di Pinochet, ha visto un aumento esponenziale delle disuguaglianze sociali, con l'1% più ricco che controlla oltre il 30% della ricchezza del paese. Nel 2019, il Cile è stato travolto da proteste di massa, che hanno costretto il governo a un profondo ripensamento delle politiche economiche e sociali del paese. Una richiesta di cambiamento poi tradita dal presidente Boric.

Negli Stati Uniti, l'adozione di politiche neoliberiste dagli anni '80 in poi ha portato a una stagnazione dei salari e a un forte aumento della disuguaglianza economica. Il cosiddetto “trickle-down economics” non ha mai prodotto la crescita economica promessa, ma ha invece concentrato la ricchezza nelle mani di pochi, mentre la classe media e quella operaia sono state impoverite. La crisi finanziaria del 2008 ha messo in evidenza il lato oscuro di un sistema basato sulla deregolamentazione dei mercati finanziari e sulla speculazione sfrenata.

Anche in Europa, l’adozione di politiche di austerità durante la crisi del debito sovrano ha avuto effetti devastanti. La Grecia, ad esempio, ha subito una contrazione economica del 25% tra il 2008 e il 2013, con tassi di disoccupazione che hanno raggiunto il 27%. Le politiche imposte dalla Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) hanno portato a tagli drastici ai servizi pubblici, provocando un peggioramento delle condizioni di vita e una vera e propria emergenza umanitaria.
Il caso Venezuela: crescita economica e inflazione in calo

Di fronte al fallimento neoliberista, il caso del Venezuela appare paradossale. Nonostante le misure sanzionatorie draconiane imposte dagli Stati Uniti e il blocco economico internazionale, il paese guidato dal presidente Nicolás Maduro ha registrato tassi di crescita economica notevoli negli ultimi anni. Secondo fonti indipendenti, il PIL venezuelano è cresciuto del 15% nel 2023 e le previsioni per il 2024 indicano un ulteriore incremento. Inoltre, l'inflazione, che aveva raggiunto livelli iperbolici durante il picco della crisi, è ora scesa su valori più controllabili.

Il Venezuela, etichettato da Milei come il simbolo dell’inefficienza economica, sta sperimentando una ripresa grazie a politiche che, pur rimanendo nel quadro di un’economia mista, puntano al rafforzamento del settore produttivo nazionale e alla riduzione della dipendenza dall’importazione. Certo, il contesto venezuelano è ancora lontano dalla normalità a causa delle sanzioni e dell’assedio multiforme a cui il paese bolivariano è sottoposto e numerose sfide restano sul tavolo, ma i dati recenti mostrano come un approccio che non segua il dogma neoliberista possa comunque ottenere risultati positivi, anche in condizioni avverse.

Lezioni per il futuro

L’Argentina, insieme a molti altri paesi, dimostra chiaramente che le ricette economiche neoliberiste basate sull’austerità e sulle liberalizzazioni non funzionano per creare benessere diffuso. Al contrario, producono povertà, disoccupazione e tensioni sociali. I governi che continuano a insistere su queste politiche si trovano ad affrontare una crescente sfiducia da parte della popolazione e un declino economico difficile da arrestare.

Per invertire questa tendenza, è necessario immaginare un nuovo paradigma economico, incentrato sulla redistribuzione del reddito, sul rafforzamento del welfare e su investimenti pubblici che creino opportunità di lavoro e crescita sostenibile. Solo abbandonando le logiche del neoliberismo e adottando modelli più equi e inclusivi, l'Argentina e altri paesi potranno sperare di costruire un futuro di prosperità condivisa.

Ma questa non è certo la ‘missione’ di fantocci alla Milei.

 

Fabrizio Verde

Fabrizio Verde

Direttore de l'AntiDiplomatico. Napoletano classe '80

Giornalista di stretta osservanza maradoniana

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