Andrea Zhok - Dell'ignoranza: come costruire il "nemico interno"

Andrea Zhok - Dell'ignoranza: come costruire il "nemico interno"

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Ieri ho assistito in diretta ad un grande classico dei nostri tempi: la costruzione mediatica in diretta del nemico come ‘subumano’.
 
A fronte delle svariate proteste contro il Green Pass che si sono svolte in Italia, al telegiornale (La7, Sky, Tg3) i protestatari sono stati tratteggiati come “Assembramento di No Vax, No Mask e vari gruppi negazionisti, accomunati da un sordo rancore verso la scienza”. Un’appropriata selezione delle scene più imbarazzanti e delle interviste più sconclusionate ha perfezionato la confezione mediatica del 'villain'.
 
Non mi interessa qui entrare di nuovo nel merito delle ragioni e dei torti sullo specifico provvedimento, di cui il minimo che si dovrebbe ammettere in buona coscienza è che è controverso.
 
Molto più interessante è la forma della costruzione del ‘nemico interno’ nelle vesti dell’IGNORANTE.
 
La costruzione di un nemico interno espleta da sempre preziose funzioni per il controllo sociale. Ma qui ad essere decisivo è il tipo di stigma: chi protesta lo fa perché IRRIMEDIABILMENTE IGNORANTE.
 
Da un lato ci sarebbe la “voce della scienza”, voce che, negli ultimi 2 anni sul tema Covid è cambiata con il ritmo dei cambi di biancheria, e in modalità difformi tra diversi paesi, ma che tuttavia esige di essere di volta in volta accettata senza discussioni perché “democrazia è fidarsi di chi sa” (e tutto il resto è populismo).
 
Dall’altro lato troviamo invece la calca bruta dei dubitanti, di quelli che non accettano che “la scienza non è democratica”. E dunque, ça va sans dire, non può essere democratica neanche una democrazia che usa una manciata di asserti scientifici da prima serata, senza dibattito scientifico, per giustificare decisioni eminentemente politiche.
 
Il ruolo della stigmatizzazione del cittadino di seconda classe come “ignorante” è cruciale perché va al cuore del funzionamento delle democrazie.
 
Qualcuno potrebbe chiedersi se si sia fatto qualcosa per colmare tale “ignoranza”; o se non si sia invece preferito coltivarla accuratamente, smantellando l’informazione e la formazione pubblica per decenni, per poi farsene scudo alla bisogna.
 
Ma credo che più interessante di questa discussione sia una discussione differente, ovvero l’identificazione dell’ignoranza come male sociale.
Ora, la prima cosa su cui dovremmo riflettere è che in un senso abbastanza rilevante tutti noi siamo drammaticamente ignoranti. Ignoriamo di solito come riparare un’auto, come tradurre un testo, come saldare una lamiera, come rendicontare una paga, e poi ignoriamo di norma come si vive nel paesello accanto, chi ha quali problemi, chi si guadagna da vivere come, e ancora, ignoriamo chi finanzi quali fonti di informazione e perché, ignoriamo se le iniziative prese per l’ambiente siano una sceneggiata o meno, ecc. ecc. Noi tutti, anche chi vive di studio, sguazza necessariamente nell’ignoranza. Lo scienziato che si occupa di sistemi immunitari può non sapere nulla del funzionamento della medicina di base, l’esperto ministeriale può non avere alcuna idea degli impatti sociali ed economici delle sue affermazioni, ecc.
 
Tuttavia, di per sé questa ignoranza diffusa non è necessariamente destinata ad essere socialmente dannosa, nella misura in cui:
 
1) esiste una diffusa consapevolezza della propria fallibilità, e
2) esistono meccanismi politici di mediazione tra i vari limiti umani e conoscitivi da cui siamo afflitti (la democrazia ha in ciò le sue caratteristiche idealmente migliori).
 
Ecco, quello che succede nell’Italia odierna è la costruzione sistematica dell’opposto di queste due istanze.
 
Si costruisce sistematicamente l’inconsapevolezza della propria fallibilità, che è quanto a dire che si costruisce un sottofondo di arroganza saccente orgogliosa di sé.
 
E si mettono in campo meccanismi politici che mirano non a mediare, spiegare, educare, convincere, ma a stigmatizzare, disprezzare, denunciare, esacerbare.
 
A ben vedere esistono due forme di ignoranza socialmente nociva.
 
La prima è quella che qualunque intellettuale impara a odiare molto presto. È l’ignoranza tronfia tipica dell’anti-intellettualismo militante, di chi ti spiega che l’università della vita basta e avanza, e che irride come astruseria tutto ciò che travalica l’intorno delle proprie esperienze quotidiane. Questo tipo di atteggiamento non è semplicemente ignorante, ma se ne fa vanto. La ragione per cui questo atteggiamento è precocemente odiato dagli intellettuali è facilmente comprensibile: è un ostacolo attivo, anche personale, a tutti i propri sforzi. Questa forma di ignoranza è nota, e abbastanza diffusa, anche se non bisogna credere che sia una disposizione popolare generale, perché non lo è affatto.
 
La seconda forma di ignoranza è invece di solito completamente dissimulata, pur essendo almeno altrettanto nociva.
 
Si tratta dell’ignoranza effettuale di quelli che hanno appreso i rudimenti formali di un sapere superiore senza superarne mai la superficie.
Molti, moltissimi tra coloro i quali detengono titoli di studio terziario hanno appreso solo i gesti mentali, le forme espressive, le parole d’ordine per farsi passare come ‘competenti’. Questi maneggiano gli strumenti culturali con la stessa sapienza con cui Stanlio e Ollio maneggiavano la scala da imbianchino e il secchio della vernice nelle comiche.
 
Hanno imparato faticosamente le parole giuste, gli atteggiamenti che li mettono al riparo da domande che potrebbero mostrare la materia molle sotto la loro impanatura di conoscenza. Gesticolano a fette grosse robe come il libertarismo alla Foucault, il cosmopolitismo alla Kant, la non-violenza alla Gandhi, et similia e si sentono per ciò stesso parte di un’élite, che può guardare dall’alto in basso la plebe.
 
Questa tipologia di ignoranti trova spesso ospitalità in luoghi deputati alla formazione e informazione, dove si adattano perfettamente, non avendo mai neppure lontanamente capito il potenziale emancipativo di ciò che hanno studiato, e si accomodano dove possono ricevere disposizioni, ordini e veline, che li facciano sentire dalla parte dell’élite dei giusti.
 
Questi ignoranti rappresentano il perfetto contraltare dell’arroganza anti-intellettuale.
 
Essi si sentono riconfermati nella propria superiorità dall’esistenza dell’anti-intellettualismo plebeo; e al tempo stesso con la loro esistenza riconfermano nella loro visione i primi, che riconoscono la vuota retorica e la supponenza dogmatica di gente che si barrica dietro ad un titolo con valore legale; e ne traggono conferma dell’inutilità degli studi.
 
Questa dinamica di rinforzo reciproco delle due forme di ignoranza dovrebbe essere composta, limitata e moderata dalla politica, che dovrebbe idealmente essere rappresentata da soggetti che, proprio perché non appartenenti a nessuna delle due classi di ignoranti, non ha alcun disprezzo per l’ignoranza in sé, ma solo per l’arroganza che vi si può abbinare.
 
Invece ciò che accade di fatto è che la politica odierna è pervasa di ignoranti, specificamente del secondo tipo, che, convinti come sono di essere parte
dell’élite dei giusti, si sentono sempre più a disagio con la democrazia reale, e la riducono a vuoto rituale.
 
Essi brandeggiano lo stigma dell'“Ignoranza degli sgrammaticati” perché ciò li riconferma nella propria presunzione e gli evita lo sforzo, cui non sono attrezzati, di capire le ragioni altrui, anche quando sgrammaticate.
 

Andrea Zhok

Andrea Zhok

Professore di Filosofia Morale all'Università di Milano

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