ANCORA CON L’IDEOLOGIA DELLA MERITOCRAZIA
I sostenitori delle leggi del mercato e della meritocrazia del successo non hanno particolarmente al centro del loro modo di vedere l’uguaglianza, soprattutto dei punti di partenza e tantomeno l’equità.
Infatti nelle società che si dichiarano “meritocratiche”, Stati Uniti e Gran Bretagna, oggi, rileviamo livelli di disuguaglianza molto elevati, elevatissimi dalle proporzioni incredibili, più fondate sull’aristocrazia della ricchezza e sulle relazioni famigliari e personali che sul merito. L’ideale di uguali opportunità per tutti è assolutamente ben lungi dall’essere realizzato, quindi la meritocrazia reale non corrisponde al suo ideale, ma non siamo nemmeno in grado di definirlo sul serio, assomigli di fatto a un’aristocrazia ereditaria.
La meritocrazia, come ci viene proposta, è una convinzione falsa e molto devastante.
Essa è una vera e propria ideologia che attira, l’attenzione dei privilegiati perché giustifica lo status quo sociale e economico, ritenendo che gli individui si meritano di stare dove sono nell’ordine economico-sociale. È un principio di carattere psicologico ben radicato quello per cui le persone credono che la situazione attuale e il mondo sia giusto, cosi come è, specialmente chi occupa i posti migliori della scala sociale e della ricchezza. In ogni caso, oltre a offrire legittimazione, alle ingiustizie, la meritocrazia, la sua ideologia, riesce ad essere lusinghiera.
Quando il successo dovrebbe essere determinato solo dal merito, ogni affermazione viene considerata come il riflesso delle virtù e del valore indiscusso di una persona. La meritocrazia si basa su un principio di affermazione personale, in Italia, viene spesso intervistata una giovane, figlia di grandissimi capitalisti italiani, che afferma di essere emigrata a Miami, Florida, di avere fatto lavori umili e poi, non si capisce come, ha ottenuto grandi finanziamenti e iniziato una sua attività redditizia. La giovane imprenditrice in due anni è stata intervistata da tutti i quotidiani, settimanali, mensili, della stampa italiana, ma mai ci dice come le è stato possibile avere quei cospicui finanziamenti. In realtà, nessuno ha mai visto la signora in questione fare lavori umili, come la cameriera come afferma nelle innumerevoli interviste, ma la notizia è stata data in pompa magna, con un risalto incredibile. Ma sinceramente, credo, chiunque ricco di famiglia farebbe una vacanza a Miami.
L’ideologia meritocratica muta la proprietà e la ricchezza in elogio, l’ineguaglianza materiale in superiorità personale. Riesce a far credere che il ricco e il potente si presentino ai poveri mortali come geni della produttività, dell’inventiva, dalle capacità uniche. Questo effetto è più naturalmente spettacolarizzato nelle élite, ogni traguardo raggiunto dai suoi rappresentanti viene presentato nell’ottica meritocratica. Il diploma delle scuole superiori, il successo artistico o semplicemente la stessa ricchezza possono essere portate come prove di talento e impegno.
Di conseguenza i fallimenti diventano segni di mancanze personali, di solito non sono i ricchi a fallire, se lo fanno non fanno trapelare la notizia, riuscendo a fornire una ragione, o presunta tale, per cui coloro che sono alla base della gerarchia sociale meritano di rimanere lì in basso sulla scala sociale. La meritocrazia è inesorabilmente diventata un ideale sociale sempre più importante. I politici di tutto lo spettro ideologico ribadiscono continuamente l’idea che cose come i soldi, il potere, il lavoro, l’ammissione all’università dovrebbero essere distribuite secondo le capacità e gli sforzi di ciascuno. Si utilizza la metafora del campo da gioco perfettamente piano su cui i giocatori abbiano tutti la stessa possibilità di emergere solo per i loro meriti. Sul piano concettuale e morale, la meritocrazia viene presentata come l’opposto di sistemi come l’aristocrazia ereditaria, in cui la posizione sociale dell’individuo è determinata dalla nascita.
Oggigiorno ci vogliono convincere che la ricchezza e il privilegio sono la giusta ricompensa per il merito dell’individuo, non i regali fortuiti di eventi esterni. La maggior parte delle persone vengono indotte a credere di pensare che il mondo dovrebbe essere guidato dalla meritocrazia, anzi credono che sia già così. Nel Regno Unito, l’84% degli intervistati a un sondaggio di British Social Attitudes sostiene che il duro lavoro sia “essenziale” o “molto importante” quando si tratta di avanzare nella scala sociale, e nel 2016 il Brookings Institute ha rilevato che il 69% degli americani crede che le persone siano ricompensate in base alla loro intelligenza e alle loro capacità. Gli intervistati, di entrambi i Paesi, ritengono che i fattori esterni, come la fortuna o la provenienza da una famiglia facoltosa e influente, siano molto meno rilevanti. Ma non si chiedono come mai accedono alle più prestigiose università private solo i figli di chi può permettersi di pagare la retta. Una volta laureati in queste università il lavoro è assicurato con paghe sempre elevatissime. Queste idee sono molto più comuni in queste due nazioni, è vero che sono popolari in 14 Paesi occidentali.
In Italia, in merito alla meritocrazia, qualche noto influenzer ha affermato, senza nessuna vergogna, che: “Facendo più fatica ci arrivi e se non ci arrivi non è colpa di quell’altro perché aveva una situazione privilegiata, è colpa tua che non ti sei fatta abbastanza il culo”. Naturalmente chi afferma questo non sa cosa sia una vera situazione di disagio economico, culturale e sociale, non riesce nemmeno a immaginarlo. Basterebbe conoscere i dati effettivi per non farneticare cosi.
Nel focus “Un ascensore sociale rotto? Come promuovere la mobilità sociale” del 2018, l’Ocse scriveva a chiare lettere che: “In Italia lo status economico delle persone è molto correlato a quello dei loro genitori. Tenendo conto della mobilità delle retribuzioni da una generazione all’altra e del livello di disuguaglianza, in Italia potrebbero essere necessarie almeno 5 generazioni per i bambini nati in famiglie a basso reddito per raggiungere il reddito medio, solo di poco al di sopra della media Ocse”. Non esattamente un inno al meritocratico “se vuoi, puoi”. Proseguendo, il report sottolinea che “in Italia, la scarsa mobilità colpisce in particolare coloro che si trovano nella parte inferiore della distribuzione delle retribuzioni. Il 62% delle persone nel quintile inferiore (il 20% delle persone con i redditi più bassi) vi rimane per quattro anni; 5,5 punti percentuali in più della media Ocse e dagli anni ’90, la mobilità dei redditi in basso della distribuzione è diminuita, oggi la persistenza dei bassi redditi è più forte”.
Ma proseguiamo con il rapporto Bankitalia, sempre datato 2018. La banca centrale rileva inesorabilmente che “i risultati collocano l’Italia tra i paesi con un’alta persistenza intergenerazionale delle condizioni economiche” e che “il fenomeno mostra inoltre una tendenza all’aumento negli anni più recenti”. Dati vecchi, potreste eccepire. Allora prendo in prestito una recentissima dichiarazione del presidente Acri ed ex ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, del 31 ottobre 2022: “Oggi l’ascensore sociale funziona solo in discesa. Il 42% di persone povere ha visto peggiorare la propria situazione rispetto a quella dei genitori”. L’Italia non può essere presa come esempio di un Paese dove chiunque può realizzarsi “basta fare sacrifici” e questi dati dovrebbero ridimensionare, se non annullare, queste assurde convinzioni. Il privilegio di partenza in un Paese dove l’ascensore sociale è bloccato da molto tempo conta, diventa fondamentale. E non è solo una questione economica, ma anche, importantissimo, di contesto sociale e culturale di nascita.
Assolutamente assurdo considerare che i risultati che si ottengono nascendo in una famiglia più agiata, che vi ha spinto a studiare e permesso di coltivare i vostri talenti sarebbero stati gli stessi se foste nati in un’altra famiglia, in una zona ad altissimo tasso di criminalità ed esclusione sociale, dove gli indici di abbandono scolastico sono alle stelle. E per fornire un altro dato di contesto, l’Italia la terza nazione tra i Paesi Ue con più abbandoni scolastici (12,7%), dopo Romania (15,3%) e Spagna (13,3%). In Sicilia il 21,2% dei residenti tra 18 e 24 anni ha lasciato la scuola prima del tempo, circa 10 punti percentuali in più della media nazionale, in Puglia è pari al 17,6% e in Campania al 16,4%. La verità è che in Italia non è quasi più possibile raggiungere dei risultati nascendo in un contesto più disagiato. Questo non è giusto in una nazione che voglia dirsi civile, infatti chi, nonostante il contesto di partenza, riesce a ottenere buoni risultati, comunque ci arriva con estremo ritardo, facendo sacrifici dieci volte di più del collega più fortunato e spesso nemmeno a parità di talento.
Il successo dipende sempre dalla condizione di partenza in una società marcatamente diseguale come la nostra, e più svantaggiata è la partenza, più è difficile, se non addirittura impossibile, ottenere quegli stessi risultati raggiungibili da chi parte da una base più favorevole. Perché molto spesso, troppo spesso, manca un elemento fondamentale: avere la possibilità di coltivare i propri talenti. La dura realtà della vita è che non per tutti è una pianura come quella di chi ha vinto il privilegio alla lotteria della vita. Per molti la vita è durissima, per arrivare a fine mese, per trovare un lavoro regolare, con il pagamento dei contributi, che non lo retribuisca 500 euro al mese per 50 e più ore a settimana.
Bisogna riconoscere tutti per onestà intellettuale che le possibilità non sono uguali per tutti e che il principio dell’uguaglianza, per chi parte avvantaggiato, a tutti i costi dovrebbe essere sostituito da quello dell’equità, che tiene conto anche di queste enormi differenze, parzialmente descritte.
*Questo articolo è stato pubblicato su https://www.eguaglianza.it/