Taglio allo stipendio e alle ferie per il smartworking? Si inizia a preparare il terreno
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Secondo i sondaggi riportati in questo articolo, pur di lavorare da remoto, le persone sarebbero disposte a rinunciare a parte della retribuzione. Con punte del 50%: avete capito bene, lasciando a casa metà della busta paga.
La ragione? Semplice, solita storia: con la crisi sanitaria il mondo del lavoro è mutato e sarà impossibile tornare indietro. Con la filosofia dell'immutabilità, dell'ineluttabilità, ormai si giustificano le peggiori nefandezze.
Senza adeguato spirito critico, peraltro, si fa notare come la produttività in regime di smart working aumenti: win win insomma, le persone producono di più e le paghi di meno. Meglio di così si muore (letteralmente).
Ma poi sentite questa: pur di lavorare da remoto la gente rinuncerebbe persino a parte delle ferie. E perché? Perché il lavoro non è tutto, si scrive nel pezzo, e le persone vogliono essere libere. Un controsenso totale: pur di essere liberi, rinunciamo alle ferie. Follia allo stato puro, esposta però come fosse davvero un ragionamento intelligente.
Ma quali sono i vantaggi di questo benedetto smart working? Ovvio: non fai il traffico la mattina. Al netto dell'inadeguatezza del vantaggio rispetto allo scotto da pagare, faccio notare anche che esso non ha nulla a che fare con la prestazione lavorativa in sé. Anche la disoccupazione, paradossalmente, ti fa risparmiare sul traffico per andare in ufficio.
La logica è quella del ricatto bello e buono: le infrastrutture sono inadeguate (e inquinanti) e, se vuoi sottrarti all'inferno quotidiano delle nostre città governate male, allora hai solo una possibilità: rinunciare a vivere tappandoti in casa.
Piuttosto che pretendere investimenti e politiche pubbliche per risanare i vulnus esistenti, una certa narrazione li sfrutta per far luccicare lo smart working. Occhio.