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Stallo sul nucleare con l'Iran. Washington: la priorità oggi è il sostegno alle proteste
Il portavoce del Dipartimento di Stato americano Ned Price ha dichiarato mercoledì che l'amministrazione del presidente Joe Biden non è concentrata in questo momento sugli sforzi per rilanciare l'accordo nucleare del 2015, ma si sta invece concentrando sul sostegno alle violente proteste che hanno avuto luogo nel paese persiano sotto il pretesto della morte, avvenuta il 16 settembre, della giovane iraniana Mahsa Amini.
Price ha definito gli atti di violenza di strada compiuti dai rivoltosi, incitati e sostenuti dall'estero, come “proteste pacifiche” e ha ribadito che i manifestanti stavano esercitando “il loro diritto alla libertà di espressione e di riunione”.
In un nuovo tentativo di incolpare l'Iran dell'impasse nei negoziati sul nucleare per rilanciare il patto nucleare, JCPOA, Price l’ha giustificata con il fatto che un accordo non era "imminente", “per le presunte “richieste irrealistiche” di Teheran al tavolo del dialogo.
Il diplomatico statunitense ha accusato la Repubblica islamica di avanzare richieste che "vadano oltre il JCPOA". "Niente di ciò che abbiamo sentito nelle ultime settimane suggerisce che abbiano cambiato posizione", ha aggiunto il portavoce, sostenendo che gli sforzi per ripristinare l'accordo nucleare avevano raggiunto un altro punto morto.
Per l’Iran, l'indecisione e le pressioni di Washington da parte della lobby israeliana, strenua oppositore dell'accordo nucleare, hanno causato molteplici interruzioni nei negoziati della maratona - iniziati nell'aprile 2021 - e hanno reso impossibile il raggiungimento di un patto finale, per rilanciare il JCPOA ed eliminare le sanzioni reimposte dagli Stati Uniti all'Iran dopo l'uscita unilaterale di Washington dal patto nel 2018.
La Repubblica islamica chiede agli Stati Uniti di garantire con forza che qualsiasi nuovo inquilino alla Casa Bianca non prenderà una decisione unilaterale di ritirarsi dall'accordo nucleare.
Ormai è chiaro che Washington doveva creare solo un pretesto per non concludere alcun accordo con l’Iran, ovvero le proteste in corso da settimane, per mantenere uno stato di tensione che possa prima o poi sfociare in un conflitto armato.