"Prima che sia tardi?" Storico militante per la Palestina di Milano sul perché (questa volta) non ha manifestato

Vincenzo Barone ha partecipato alle 54 manifestazioni che ogni sabato si svolgono a Milano per chiedere la fine del genocidio a Gaza, ma al 55° sabato ha deciso di non partecipare e ne spiega il perché

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"Prima che sia tardi?" Storico militante per la Palestina di Milano sul perché (questa volta) non ha manifestato

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La lettera aperta che uno storico amico del popolo palestinese, l’avvocato Vincenzo Barone di Milano, ha reso pubblica ha sollecitato il nostro interesse e per questo abbiamo deciso di intervistarlo.

Vincenzo Barone ha partecipato alle 54 manifestazioni che ogni sabato si svolgono a Milano per chiedere la fine del genocidio a Gaza, ma al 55° sabato ha deciso di non partecipare e ne spiega il perché. A chi interessa solo il numero o l’opportuna etichetta che fa “audience” potrà sembrare bizzarro dedicare un’intervista a uno dei tanti militanti che non hanno mai amato mettersi in mostra, ma chi crede che la Storia, proprio quella con la S maiuscola, cresca su un prato composto di milioni di fili d’erba, il pensiero di un singolo militante, un “filo d’erba” di quel prato, ma pensante, impegnato e serio conoscitore, anche dall’interno, della questione palestinese, merita approfondimento e diffusione, così lo intervistiamo contando anche in una possibile riflessione sulle sue ragioni.

L'INTERVISTA


D. Buongiorno Enzo, abbiamo letto la tua lettera di rifiuto al 55° appello che chiedeva di manifestare  per la fine del genocidio a Gaza con la parola d’ordine “fuori l’Italia dalla guerra prima che sia troppo tardi”. Vuoi spiegare a chi ci legge il motivo del tuo rifiuto?

Questa decisione è maturata a seguito di una profonda, dolorosa analisi e mi amareggia, in virtù del rapporto che mi vanto di avere con il movimento pro-Palestina, aver deciso convintamente di disertare l’ultima manifestazione. Per questo ho reso pubblico il mio pensiero, sperando che da ciò consegua un riflessione collettiva. La Palestina è vittima sacri?cale (e iniziale) di un processo di sgretolamento e allontanamento della popolazione indigena da parte dell’occupazione israeliana. È un progetto genocida le cui mire non si arresteranno a Gaza e Cisgiordania  ma c’è motivo di credere, e ogni analista di geopolitica lo sa, che si allargherà a Libano, Siria, Iraq e una fetta del regno hashemita: un’idea omicida partorita un centinaio di anni fa e riscontrabile nelle documentazioni desecretate circa due decenni or sono. Fatta questa premessa devo dire che gli appelli esposti nei volantini di convocazione del CSA Vittoria nei vari sabati, hanno sempre posto l’attenzione sul micidiale  mix  di  suprematismo,  crudeltà,  colonialismo  di  insediamento, criminalità seriale che è sotto gli occhi di tutti, compresi coloro che ne godono, e che si può sintetizzare in un solo sostantivo: Imperialismo. L’imperialismo che vede in prima ?la, non soltanto come complici ma come veri e propri arte?ci, gli Stati Uniti d’America, l’Occidente, la maggior parte degli Stati arabi e, purtroppo, anche traditori più o meno istituzionali tra i quali la parte predominante dell’Autorità Nazionale Palestinese, tutti coesi ad imporre la dittatura del capitalismo più sfrenato e l’ingiustizia sociale fatta sistema.

Senza l’appoggio sostanziale di questo stuolo di complici, alcuni dei quali già complici dell’idea genocidaria ab origine,  la lotta palestinese, dalla Rivolta araba del 1936/39 durante il Mandato britannico, ?no all’attuale eroica Resistenza, avrebbe trovato sbocco nella fine dell’occupazione e conseguente disfatta delle mire espansionistiche fasciste israeliane. Così non è stato e ora siamo alla “soluzione ?nale”.

Constato, mio malgrado, come in ogni manifestazione di e?ettiva  empatia verso il popolo palestinese si fatichi ad a?ermare che i protagonisti di questo scempio sono tutti gli ebrei che si riconoscono nel progetto  sionista. Vale a dire la stragrande maggioranza degli ebrei, e non solo israeliani. La minoranza degli ebrei, che non traggono dalla religione la motivazione per sostenere Israele, vengono  ignorati o, se si schierano contro il genocidio in atto vengono  manganellati e arrestati come abbiamo visto, in particolare,  nelle manifestazioni USA.

Va anche detto che molti filo-palestinesi temono ad esprimersi perché tremanti di fronte alla prospettiva di essere accusati  di antisemitismo, e questo li porta a entrare in un’ottica che ribalta la realtà e diventa succube della lettura imposta dalla hasbara israeliana. Ritengo che  l’ideologia sionista appartenga al popolo ebraico che se ne fa vanto, utilizzando strumentali ragioni religiose  come quella di definirsi popolo  avente  diritto  ad  una  terra  abitata  da  altri in quanto  promessagli dal loro dio. Aggiungo che è sotto gli occhi di tutti l’ auto legittimarsi di Israele per ogni nefandezza perché gode dell’immunità dovuta al fatto che gli ebrei sono stati vittima, in passato, dell’ orrendo crimine della furia nazista che, pur avendo colpito anche altri milioni di vittime, consente agli ebrei un “riconoscimento speciale” e ad Israele  il diritto a difendersi qualunque cosa faccia, “diritto” che normalmente si concretizza in “licenza di sterminio” nel silenzio del mondo cosiddetto civile.  

Scusami se interrompo la tua analisi, poi la riprenderai fino a spiegarci bene il perché del tuo dissenso, ma m’interessa focalizzarci un momento sulla frase “l’ideologia sionista appartiene al popolo ebraico che se ne fa vanto”. Sembra che tu faccia una sovrapposizione tra chiunque sia ebreo e l’ideologia sionista. Mi permetto di ricordarti che il grande storico Eric Hobsbawm, autore tra l’altro de “Il secolo breve”, marxista attento ai danni sociali provocati dal capitalismo, nella sua autobiografia afferma che gli ebrei emancipati di Vienna non erano sionisti prima del nazismo né lo divennero dopo. Inoltre dichiara di non avere personalmente obblighi né verso una religione ancestrale né verso uno Stato (Israele) militarista e aggressivo che chiede la sua solidarietà su basi razziali. Ecco, approfitto di queste parole per chiederti se veramente pensi che ogni ebreo sia anche sionista e quindi filo israeliano, compreso chi è critico verso l’orrendo governo Netanyahu?

Vedi, so bene che c’è una minoranza che non si definisce e non è sionista, ma solo chi prende apertamente posizione può considerarsi realmente estraneo a quest’ideologia e non chi finge di ignorare l’essenza di quello Stato che rivendica spudoratamente ogni sua cancellazione dei principi della democrazia sostanziale, vedi ad esempio la Legge Nazionale 2018 che statuisce, tra l’altro, come l’autodeterminazione sull’intero territorio spetti esclusivamente agli ebrei. Chi ha accettato, tacitamente o meno, questa legge come lo chiameresti? Può anche fare il buono partecipando a una manifestazione per chiedere che Israele gentilmente la smetta di fare a pezzi adulti e bambini palestinesi inermi, ma io lo considero sionista.



Bene, ti ringrazio del chiarimento. Torniamo alla tua analisi e al perché hai contestato la validità della manifestazione di ieri, 26 ottobre.

In un panorama che vede vilipeso il diritto internazionale dove gli emblemi delle più autorevoli Corti giurisdizionali decadono a rango di teatranti di una farsa che si fa tragedia e dove i più alti esponenti delle istituzioni parlano a vuoto e vengono addirittura dileggiati da Israele, vi è ancora chi, provocatoriamente, parla di “pace”, di trattative, di cessate il fuoco a patto che ritornino gli ostaggi israeliani ignorando, sia detto per inciso, il numero altissimo di ostaggi palestinesi torturati e spesso uccisi, ma anodinamente chiamati prigionieri. Addirittura qualcuno, più insolente che ignorante, si spinge ad enunciare una ripresa  di  trattative  volte  al  riconoscimento  della  Palestina  per  il  sorgere  di  due  Stati sapendo bene che non c’è trattativa con chi vuole e dichiara di volere solo l’annessione. Indecente! Chi ha avuto, come il sottoscritto, l’opportunità di frequentare quei posti lasciandovi sia il cuore che  amici  fraterni  con  i  quali,  fortunatamente,  ancora  si  rapporta,  inevitabilmente  si  trova  a ricordare la mai sufficientemente raccontata realtà vissuta sotto l’occupazione.  Decenni di discriminazioni, sopraffazioni, invasioni, insediamenti, uccisioni, rapimenti  spacciati come arresti senza accuse, condanne arbitrarie, demolizioni, muri, campi profughi periodicamente aggrediti, accuse di terrorismo per coloro i quali hanno orgogliosamente rifiutato di farsi  pupazzi nelle mani del mostro e si sono opposti alle immonde trattative con Stati asserviti alla potenza del dollaro, hanno portato a quel 7 di ottobre del 2023 in cui l’orgoglio palestinese ha dato dimostrazione che la Palestina mai si arrenderà. L’ha fatto in modo violento, è vero, ma come altro poteva farlo? Tutti si dichiarano inorriditi e io mi chiedo: perché le numerose stragi israeliane, ben più consistenti  della strage del 7 ottobre non fanno inorridire? Le centinaia di bambini e le migliaia di adulti ammazzati durante Piombo fuso o Colonna di nubi o Margine protettivo, nomi fantasiosi dati da Israele alle raccapriccianti stragi di palestinesi, non hanno lo stesso diritto al ricordo e all’orrore?  Vedi, mi sembra che ci sia una priorità verso le vittime ebree israeliane che definirei figlia di un’ideologia suprematista, questo non significa che considero che tutti gli ebrei condividano quell’ideologia, ma la maggior parte di loro sì. E con quest’affermazione so che chi è in malafede può darmi dell’antisemita, ma so anche di non esserlo, quanto meno perché sono irriducibilmente antirazzista e non potrei essere tale se discriminassi  gli ebrei in quanto ebrei. Perciò rivendico il mio diritto alla critica e respingo ogni accusa strumentale di antisemitismo.


Stiamo arrivando ai perché del tuo rifiuto a manifestare, ma ti chiedo di focalizzare in poche battute quel “perché”.

Certo!. Una manifestazione a sostegno della Resistenza palestinese che ha per slogan: “Prima che sia troppo tardi” francamente, mi  sembra che abbia scelto una frase quantomeno intempestiva: dopo un anno di indicibili massacri è già troppo tardi! Vengono sterminati i giornalisti palestinesi (ormai siamo a quota 180) mentre a quelli stranieri è vietato l’ingresso perché nessun occhio deve vedere, vengono sterminati medici e infermieri perché nessun medico deve curare, nessun ferito deve sopravvivere, nessun paziente deve cessare di so?rire; viene vietato l’ingresso di cibo e acqua perché  ogni bambino possa morire di fame o di sete e in più si consente a diabolici individui che rivendicano il loro ebraismo  di  distruggere i rifornimenti destinati agli assediati e di organizzare esilaranti tour dell’orrore per gioire della so?erenza  altrui. E ancora diciamo “prima che sia troppo tardi”! E ancora fuori l’Italia dalla guerra prima che sia troppo tardi! mentre l’Italia, vassallo degli USA, la guerra la sostiene e inoltre destina alle spese per armamenti quel che dovrebbe essere destinato a un maggior benessere della società. Tra le parole d’ordine della manifestazione ne spicca anche un’altra che  considero un vero insulto: “Sì alle trattative di pace”.

L’abbiamo detto e scandito nelle piazze più e più volte: nessuna pace senza giustizia, nessuna giustizia senza che l’oppressore si ritiri e paghi il prezzo per le sue immense responsabilità, penali e civili. E ora diciamo sì alle trattative di pace? Di quale pace? Come è possibile questa doppiezza? Non si può accettare ancora di emarginare questo popolo “trattando per suo conto” ignorando la prova costante di tenacia, orgoglio e dignità che offre: soltanto loro, i palestinesi, decideranno della propria sorte e noi che facciamo? manifestiamo affinché si lascino ancora ingannare da  pseudo  mediatori,  ebrei filoisraeliani  come  Blinken  o  Hochstein?  No, questa non è la mia manifestazione. Il 7 ottobre si è voltata pagina. I deliranti piani di rioccupazione di Gaza e deportazione della popolazione residua s’infrangeranno contro l’inevitabilità della Storia. Nessuna occupazione è infnita.

Capisco le tue motivazioni e credo che meriterebbero un lungo confronto, ma ora vorrei chiederti cosa pensi del testamento lasciato da Sinwar.

E’ chiaro che ci stiamo riferendo ad un personaggio che ha fatto la storia. Il suo testamento mostra una statura morale non comune e lo a?ermo con convinzione nonostante e proprio perché io sono sideralmente distante dal modello sociale proposto da Hamas. Ogni passo del testamento di Sinwar induce a riflettere e vorrei ricordarne almeno uno: “Il nemico vuole che abbandoniamo la resistenza per trasformare la nostra causa in una negoziazione senza ?ne, ma vi dico: non negoziate per quello che vi spetta di diritto.” Non ti sembra illuminante? e come non riflettere, e con molta amarezza, su un altro passo che cito a memoria: “Non aspettatevi che il mondo faccia giustizia perché il mondo è sempre rimasto muto di fronte al nostro dolore.” Ecco, per me Yahya Sinwar è un esempio illuminante di Partigiano.

Grazie Enzo. Spero che condividere le tue analisi non porti a schieramenti da tifoserie calcistiche ma sia utile a chi si chiede come fermare realmente il mostro assetato di sangue e operi oltre gli slogan per far vincere la giustizia e raggiungere la pace...


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Patrizia  Cecconi

Patrizia Cecconi

Romana di nascita, milanese di ultima adozione. Laureata in Sociologia presso la Sapienza Roma ove tiene per alcuni anni dei seminari sulla comunicazione deviante. Successivamente vince la cattedra in Discipline economiche ed insegna per circa 25 anni negli Istituti commerciali e nei Licei sperimentali. Interessata all'ambiente, alle questioni di genere e ai diritti umani ha pubblicato e curato diversi libri su tali argomenti ed uno in particolare sulla Palestina esaminata sia dal punto di vista ambientale che storico-politico. Ha presieduto per due mandati l'associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese di cui ora è presidente onoraria e, al momento, presiede l'associazione di volontariato Oltre il Mare. Da oltre 12 anni trascorre diversi mesi l'anno in Palestina, sia West Bank che Striscia di Gaza, occupandosi di progetti e testimonianze dirette della situazione. Collabora con diverse testate on line sia di quotidiani che di riviste pubblicando articoli e racconti. 

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