Non è solo calcio: un paese in macerie
Se solo fosse chiaro a tutti i delusi odierni che i fallimenti della Nazionale di calcio sono generati dagli stessi, identici problemi che hanno ridotto l’Italia allo stato moribondo in cui si trova, forse, saremmo già a metà strada.
1. Distruzione del tessuto economico-produttivo interno con conseguente sempre maggior dipendenza da investimenti esteri. Se il mondo si globalizza, il capitalismo diventa oligarchico eccetera non si svuotano solo le zone industriali, ma ci saranno anche sempre più sceicchi e magnati e sempre meno Berlusconi (o Anconetani se vi piace di più il paragone);
2. assenza di investimenti in ricerca, sviluppo e infrastrutture strategiche. Porti, poli di ricerca, stadi e centri sportivi all’avanguardia assolvono infatti alla medesima funzione. Germania e Olanda stanno all’Italia esattamente come Bayern e Ajax alla Roma.
3. gerontocrazia inscalfibile sostenuta da una diffusa cultura gerontocratica, mancanza atavica di politiche giovanili e conseguente emigrazione delle eccellenze fra le giovani generazioni. Fra un ricercatore che se ne va negli USA e Verratti al PSG, fra il Mattarella bis e Chiellini convocato a 38 anni non c’è alcuna differenza. I migliori vanno via e chi resta o è vecchio o non è allo stesso livello;
4. disinteresse totale per la crescita culturale ed educativa dei giovani. Se un quattordicenne sogna di fare lo youtubber anziché diventare ingegnere o un campione di serie A è anche un problema di propensione al sacrificio. Se all’allenarsi sotto la pioggia tre volte a settimana (o studiare per vent’anni) si preferisce stare sul divano a mangiare cibo spazzatura inseguendo un successo effimero e immediato è - anche - un problema culturale, di civiltà nel senso più ampio.
5. denatalità sempre più drammatica. Meno figli fai sempre meno gente di qualità avrai. Enrico Mattei e Adriano Olivetti o Roberto Baggio e Alessandro Del Piero è anche una questione di statistica;
6. corruzione, clientelismo e incertezza della pena. Un ladro seduto in parlamento e Masiello su un campo da calcio sono due facce della stessa medaglia. Chi sbaglia non paga mai abbastanza e presto o tardi torna al suo posto. Con tutto ciò che implica.
Pochi esempi ma si potrebbe continuare ancora.
Certo, sono problemi propri dell’intero Occidente ma in Italia, per una serie di ragioni specifiche e congiunture esterne, si sommano e stratificano moltiplicandone violentemente gli effetti.
È evidente, quindi, che il più grande fallimento della nostra nazionale di calcio (mai fuori dai mondiali per due edizioni consecutive) è diretta conseguenza della crisi economica, politica e culturale che ha ridotto l’intero sistema Italia in macerie.
Un paese che da quarta potenza industriale è diventato economicamente e politicamente irrilevante.
La stessa identica parabola del nostro alter ego pallonaro. Chi pensa che sia solo una curiosa coincidenza dovrebbe sforzarsi di fare un’analisi più complessa e multidisciplinare uscendo da una prospettiva meramente sportiva e, magari, andando anche contro qualche proprio profondo convincimento politico. Diversamente non ne usciamo.
E per favore, non tiratemi fuori l’europeo come argomento a contrario. D’altronde si sa che, come hanno scritto tutti, quella vittoria è stata merito di Draghi. Oppure semplicemente l’ultimo, bellissimo canto del cigno.