L’Italia vuole davvero risolvere il problema dell’immigrazione? Panorama rompe il muro di omertà sulla Libia
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L'intervista apparsa su Panorama di questa settimana realizzata da Francesca Ronchin ad Abdul Hadi Al-Huweej, ospite a Roma il mese scorso in occasione della presentazione del libro "L'Urlo", di cui ha scritto la prefazione.
Ormai non ci sono più alibi. A Bengasi ci sono petrolio e gas che l'Italia non vuole per non dispiacere la Nato. La notizia ora è pubblica. Vediamo quanti possono ancora ignorarla.
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Non usa mezzi termini, Abdul Hadi Al-Huwej, ministro dell’Immigrazione ai tempi di Gheddafi, responsabile degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale durante il governo al-Thani di Bengasi, fino al 2021, e candidato alle prossime elezione politiche del Paese africano. Panorama lo incontra a Roma, a margine della presentazione del libro di Michelangelo Severgnini L’Urlo sul «patto» tra milizie libiche e Stati europei in funzione anti-immigrazione. È un fiume in piena.

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«Il problema in Libia non è politico ma di sicurezza e riguarda la diffusione delle armi. Quelle in possesso di gruppi militari, milizie, specialmente nella parte ovest della Libia, proprio quella dove la cosiddetta comunità internazionale, cioè l’Occidente, ha insediato un governo di unità nazionale. Proprio là dove opera la Guardia costiera libica che Italia e Unione europea continuano a finanziare. Secondo voi è un caso che nonostante tutti gli sforzi i migranti continuino a partire soprattutto da qui?». Nel 2018 l’Italia ha ceduto alla Libia 12 unità navali, partecipa alla formazione del personale ed è presente in loco con una nave della Marina militare inserita nel dispositivo Mare sicuro. Secondo quanto documentato dalle Nazioni Unite così come da vari media, questa Guardia Costiera Libica sarebbe ancora in mano a ricercati internazionali come Al Bija e Ahmed Omar.
Cosa intende, che la Guardia Costiera, per cui il governo Draghi solo a fine luglio ha stanziato 12 milioni di euro, è collusa?
L’esito è davanti a voi e lo conoscete bene. È forse diminuito il flusso di migranti dalla Libia all’Italia? Ad agosto, dalla Libia, sono partiti 15 mila migranti. Ma questi sono solo i numeri ufficiali. Purtroppo Tripoli è in mano alle milizie e il traffico di uomini è un modello di business che fa comodo anche al governo locale, insieme al traffico di armi e a quello del petrolio che viene saccheggiato e contrabbandato all’estero. Di recente, durante il contrabbando di un cisterna di carburante più di 30 persone sono morte a Bint Bayah. Non abbiamo sentito appelli da parte dell’Italia o degli altri Stati europei per aiutare i libici.
Lei è di Tripoli ma vive a Bengasi, sotto il Governo di stabilità nazionale (Gsn) di Fathi Bashagha che ha la fiducia del Parlamento libico di Tobruk, ma che non è riconosciuto dalla comunità internazionale. Siete una parte in causa, nello scontro. Come gestite il fenomeno dell’immigrazione verso l’Europa?
Stiamo ai fatti. Nonostante almeno mezzo miliardo di euro di aiuti negli ultimi quattro anni - stanziati dai membri della Ue tra cui l’Italia - nella parte occidentale della Libia decine di migliaia di migranti hanno continuato a partire e ad annegare nel Mediterraneo. Qui da noi invece, anche se la Guardia costiera non è supportata da programmi europei di cooperazione, si imbarcano molti meno migranti. Perché il GSN ha un maggiore controllo del territorio ed è in grado di far rispettare la legge. La differenza si nota anche nei centri di accoglienza. Le condizioni umanitarie sono accettabili. Venite a verificare.
Dunque come se ne esce?
Se si vuole bloccare la tratta degli esseri umani, frenare il contrabbando del petrolio e frenare il caos delle armi, occorre ripristinare un legittimo Stato libico in tutto il territorio. Non in una prospettiva di sicurezza bensì di sviluppo. Per le aziende che vogliano investire a Bengasi la porta è aperta. Anche per l’acquisto di gas e petrolio dato che la maggior parte dei giacimenti petroliferi si trova proprio qui. Continuare a pensare la Libia come se fosse solo il guardiano dei migranti per l’Europa è inaccettabile. Il nostro Paese è molto più di questo.
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LO STRANO CASO DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA FINANZIATA CON OLTRE 500 MILIONI DI EURO DA UE E ITALIA CHE PERO' "NON RIESCE" A FERMARE LE PARTENZE
L’Italia vuole davvero risolvere il problema dell’immigrazione? "Io non posso certo rispondere al posto delle istituzioni italiane ma se guardiamo alla realtà delle cose la risposta è “no”».
Non usa mezzi termini, Abdul Hadi Al-Huwej, ministro dell’Immigrazione ai tempi di Gheddafi, responsabile degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale durante il governo al-Thani di Bengasi, fino al 2021, e candidato alle prossime elezione politiche del Paese africano. Panorama lo incontra a Roma, a margine della presentazione del libro di Michelangelo Severgnini L’Urlo sul «patto» tra milizie libiche e Stati europei in funzione anti-immigrazione. È un fiume in piena.

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«Il problema in Libia non è politico ma di sicurezza e riguarda la diffusione delle armi. Quelle in possesso di gruppi militari, milizie, specialmente nella parte ovest della Libia, proprio quella dove la cosiddetta comunità internazionale, cioè l’Occidente, ha insediato un governo di unità nazionale. Proprio là dove opera la Guardia costiera libica che Italia e Unione europea continuano a finanziare. Secondo voi è un caso che nonostante tutti gli sforzi i migranti continuino a partire soprattutto da qui?». Nel 2018 l’Italia ha ceduto alla Libia 12 unità navali, partecipa alla formazione del personale ed è presente in loco con una nave della Marina militare inserita nel dispositivo Mare sicuro. Secondo quanto documentato dalle Nazioni Unite così come da vari media, questa Guardia Costiera Libica sarebbe ancora in mano a ricercati internazionali come Al Bija e Ahmed Omar.
Cosa intende, che la Guardia Costiera, per cui il governo Draghi solo a fine luglio ha stanziato 12 milioni di euro, è collusa?
L’esito è davanti a voi e lo conoscete bene. È forse diminuito il flusso di migranti dalla Libia all’Italia? Ad agosto, dalla Libia, sono partiti 15 mila migranti. Ma questi sono solo i numeri ufficiali. Purtroppo Tripoli è in mano alle milizie e il traffico di uomini è un modello di business che fa comodo anche al governo locale, insieme al traffico di armi e a quello del petrolio che viene saccheggiato e contrabbandato all’estero. Di recente, durante il contrabbando di un cisterna di carburante più di 30 persone sono morte a Bint Bayah. Non abbiamo sentito appelli da parte dell’Italia o degli altri Stati europei per aiutare i libici.
Lei è di Tripoli ma vive a Bengasi, sotto il Governo di stabilità nazionale (Gsn) di Fathi Bashagha che ha la fiducia del Parlamento libico di Tobruk, ma che non è riconosciuto dalla comunità internazionale. Siete una parte in causa, nello scontro. Come gestite il fenomeno dell’immigrazione verso l’Europa?
Stiamo ai fatti. Nonostante almeno mezzo miliardo di euro di aiuti negli ultimi quattro anni - stanziati dai membri della Ue tra cui l’Italia - nella parte occidentale della Libia decine di migliaia di migranti hanno continuato a partire e ad annegare nel Mediterraneo. Qui da noi invece, anche se la Guardia costiera non è supportata da programmi europei di cooperazione, si imbarcano molti meno migranti. Perché il GSN ha un maggiore controllo del territorio ed è in grado di far rispettare la legge. La differenza si nota anche nei centri di accoglienza. Le condizioni umanitarie sono accettabili. Venite a verificare.
Dunque come se ne esce?
Se si vuole bloccare la tratta degli esseri umani, frenare il contrabbando del petrolio e frenare il caos delle armi, occorre ripristinare un legittimo Stato libico in tutto il territorio. Non in una prospettiva di sicurezza bensì di sviluppo. Per le aziende che vogliano investire a Bengasi la porta è aperta. Anche per l’acquisto di gas e petrolio dato che la maggior parte dei giacimenti petroliferi si trova proprio qui. Continuare a pensare la Libia come se fosse solo il guardiano dei migranti per l’Europa è inaccettabile. Il nostro Paese è molto più di questo.