“L’Italia scherza con il fuoco in Libia”. Intervista al Presidente di FederPetroli, Michele Marsiglia
Nel dibattito nazionale intorno alla vicenda Al Masri di queste settimane, si è schiacciata la vicenda su una prospettiva umanitaria.
Tuttavia qui su L’AntiDiplomatico abbiamo ribadito quanto il movente dell’immediato rilascio seguito da rimpatrio non risieda verosimilmente nell’attività di torturatore di Al Masri, comunque documentata, quanto piuttosto nel ruolo da questi svolto all’interno dei delicati equilibri tra milizie di Tripoli, in particolar modo quelli legati al petrolio.
Qualche giorno fa il Presidente di FederPetroli Italia, dott. Michele Marsiglia, in un comunicato stampa ha squarciato il velo di ipocrisia, cercando di riportare la questione all’interno dei binari reali della vicenda che non sono umanitari quanto legati agli interessi italiani in Libia.
Lo abbiamo intervistato per far luce su questi “interessi italiani in Libia”.
L'INTERVISTA
Il vostro comunicato è stata una delle rarissime voci che abbiano squarciato il silenzio sull’argomento. Nel comunicato avete scritto: “Sul caso Al Masri il Parlamento sta scherzando con il fuoco o meglio con il nostro petrolio in Libia”. Quindi, in qualche modo, la FederPetroli giustifica l’operato del Governo italiano in nome di quella Ragion di Stato evocata anche dall’ex ministro PD, Minniti. Tuttavia, la FederPetroli non ha mostrato alcun imbarazzo a dire le cose come stanno. Ebbene, come stanno le cose, dunque, da quel che vi risulta?
Prima di fare, bisogna conoscere e studiare: l’Africa, il Medio Oriente, la Libia e, terre e culture diverse dalle nostre. Non ritengo che i decisori politici (gran parte) siano attenti a questa forma di conoscenza. Riconosco e condivido la diversa dialettica politica tra le forze del Parlamento, è normale, è la Politica. L’Italia delle istituzioni però dovrebbe usare più accortezza e delicatezza in politica estera, ecco come stanno le cose. A nostro parere, se qualcuno rilasciando il Generale Al Masri ha voluto fare un’opera di vicinanza alla Libia, con quello che si è scatenato dopo, si sta facendo il peggio del peggio e, questo per l’Italia rappresenta una grande brutta figura a livello internazionale e specialmente in Libia. Bisogna considerare che le nostre aziende lavorano in Libia per nuovi giacimenti, per centrali di trattamento, per le linee logistiche e la costruzione di pipeline, tutto quello che è il mondo dell’Oil & Gas, le aziende non lavorano a Montecitorio o Palazzo Chigi, quindi ogni azione, anche verbale, ha un ritorno, un feedback internazionale nel Paese coinvolto. Non siamo assolutamente titolati a giudicare l’operato di un Governo, sicuramente però chiediamo più accortezza in politica estera e nel preservare e difendere gli interessi strategici nazionali, come in questo caso la nostra politica industriale in Libia e, in altri paesi che noi definiamo con ‘situazioni interne delicate’, ce ne sono in tutta l’Africa e Medio Oriente. Per non parlare del ruolo della nostra Intelligence, oggi deve essere diverso, come l’apparato di sicurezza interna ed esterna di 15 anni fa, per chi lo ricorda. Ecco come stanno le cose oggi, alcune ‘cose’ hanno bisogno di discrezione per difendere il bene di una nazione, l’arte circense lasciamola ad altri. Nonostante molte volte dobbiamo attenerci ad un linguaggio più istituzionale e diplomatico, in questo caso non esiste imbarazzo quando si parla dell’Italia, di lavoratori, di imprese e dei nostri consumi energetici, forse qualcuno ha dimenticato che la Libia è un nostro fornitore di energia e noi nel Paese siamo Ospiti.
Nel comunicato si afferma che la FederPetroli “non ebbe paura ad appoggiare le politiche del gen. Haftar”. Verso quali politiche in particolare era stato espresso il parere favorevole?
Anni fa appoggiamo la possibile candidatura di Saif Al Islam Gheddafi, solo perché in Libia si sentiva un vento, nonostante il cognome, nuovo. I giovani volevano Saif, la parte importante e per noi interlocutori fondamentale, le tribù, volevano Saif e le aziende petrolifere manifestavano continuamente che nell’era del Generale Muammar Gheddafi, il petrolio funzionava. Appoggiamo quindi una possibile candidatura di Saif. Come qualche anno fa il Generale Khalifa Haftar dichiarò che l’indotto petrolifero doveva essere preservato in Libia e così le aziende che lavoravano nel paese, questo fece si che fummo contenti e con una dichiarazione alle Agenzie di Stampa del Medio Oriente, FederPetroli Italia si disse contenta del tutto. Ovviamente può immaginare quello che si scatenò e subimmo un velato richiamo da parte dell’Ambasciata d’Italia a Tripoli e da un Ambasciatore che consideravo amico come Giuseppe Buccino Grimaldi, all’epoca del Governo Conte con il Ministro Di Maio alla Farnesina. Ricordo le parole “che eravamo saliti sul carro di un perdente come Haftar”. La cosa che fa sorridere e che poi, anni dopo lo stesso Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nel luglio 2024 ha ritenuto di incontrare il Generale Haftar nel rispetto delle reciproche relazioni istituzionali e diplomatiche. Oggi in Libia lavoriamo più di ieri, come vede ‘il carro’ ha fatto un percorso contrario. A noi interessa il Petrolio, senza se e senza ma.
Sempre nel comunicato si afferma che sono “riprese le operazioni per lo sviluppo degli idrocarburi” in Libia, grazie anche all’Italia. A quale progetto in particolare si rivolge questa affermazione?
Consideri che il sottoscritto cura dal 2016 diverse operazioni cantieri per pozzi dislocati in Libia tra ENI e i contrattisti, il primo è stato proprio quello di Abu Attifel seguiti ad El Feel, Hamara, Sharara ed altri nonché l’ambito della Raffinazione tra Ras Lanuf e Zawiya. I più grandi impianti petroliferi in Libia sono stati costruiti dalla nostra Snam Progetti negli anni 70. Il dopo Gheddafi ha comportato per il nostro indotto diversi problemi, rivolti principalmente ad una situazione di ‘stop and go’ nelle operazioni di cantieri dovute a episodi di guerriglia che non ci permettevano di lavorare con continuità ed ad altre di tipo burocratico (permessi, desert pass, documenti ed altro), il tutto si è tradotto in grandi danni economici per le aziende operanti in Libia, parlo sia di quelle italiane che estere, e non riuscendo ad avere, nell’immediato il pagamento dei lavori perché, ovviamente, non ultimati. La salvezza dell’Italia e di tutti noi in Libia si chiama ENI, non è un mistero. Grazie ad ENI e alla joint venture tra ENI e NOC denominata Mellitah Oil & Gas siamo riusciti a recuperare il dovuto. Oggi nonostante la Libia, membro dell’OPEC ha sofferto per qualche anno con cali di produzione petrolifera in equivalente di barili al giorno e, per questo è stata anche esonerata dai tagli decisi dall’Organizzazione di Vienna. Oggi il Paese inizia a rinascere, petroliferamente parlando. L’Italia del petrolio negli scorsi governi ha perso terreno in Libia, la mancanza di una politica estera ed il concentrarsi solo su questioni di politica interna per qualche voto in più, ha fatto si che altri nostri stati competitor si sono aggiudicati Licenze Onshore ed Offshore senza il minimo sforzo. L’Italia non c’era in Libia, le aziende non si sentivano assistite e quindi hanno preferito investire in altre location dell’Africa e del Medio Oriente. Oggi oltre a riprendere al meglio i rapporti con le Autorità libiche, sono previsti investimenti per incrementare la capacità produttiva sia di olio che di gas e di conseguenza aiutare sempre più l’economia libica e le strutture interne al paese. Si sono revisionate situazioni di esplorazioni di giacimenti e pozzi fermi dal 2011. Importante è l’attenzione di gran parte di compagnie petrolifere mondiali sul Bacino di Ghadames nelle enormi riserve di idrocarburi con il coinvolgimento di altri stati. In previsione ci sarà un aumento dell’esportazione di gas per l’Italia e l’Europa attraverso il Green Stream. Non ultimo in ballo ci sono circa 22 nuove Licenze per l’esplorazione di idrocarburo. Bisogna considerare che la Libia, per il nostro indotto è ancora considerata, in gran parte del territorio una terra vergine, vuol dire che vi è una vastità di olio e gas nel sottosuolo, di ottima qualità, di facile estrazione che ancora è dormiente e, sfruttandolo garantirebbe milioni e milioni di barili al giorno di petrolio equivalente, nonché di metri cubi di gas. Un Eldorado petrolifero.
Il comunicato si conclude evocando un rischio, quello di mettere a repentaglio lo stesso Piano Mattei. Cosa L’ha sorpresa positivamente di questo piano e cosa non Le è piaciuto, con particolare riferimento alla Libia?
E’ un Piano ambizioso, molto ambizioso e di conseguenza pericoloso. Non si parla solo di petrolio ma di tanti settori che non sono facili da realizzare. La storia insegna: Iraq, Medio Oriente in generale, Africa, la paura di questi paesi in un possibile ‘colonialismo mascherato’ è vivo e si percepisce. Consideri che il mio lavoro è anche quello di interloquire continuamente con le diverse Rappresentanze Diplomatiche dei paesi dove operiamo e quello che mi riportano è proprio questo. L’Africa del 2024/2025 ha voglia di essere aiutata ma non più colonizzata. Anche gli stessi flussi migratori bisogna saperli gestire e non affossarli, se un paese si impegna in un rapporto di reciproca collaborazione, deve essere all’altezza, parlo dell’Italia. Sembra che qualcuno a Roma vuole solo il bello dall’Africa ma non i problemi, questa non è cooperazione bilaterale. Su questo bisogna fare tanta attenzione ed il linguaggio politico istituzionale deve essere molto delicato, appositamente per non mettere a rischio il Piano Mattei per l’Africa. Mesi fa a Palazzo Chigi il Presidente del Consiglio ha organizzato un mio incontro con l’Ambasciatore Fabrizio Saggio, oggi a capo del Piano Mattei, in quel frangente ho espresso le perplessità di FederPetroli Italia e chiesto maggiori garanzie per lo sviluppo dei nostri investimenti, siamo ancora in fase embrionale, attendiamo…. ma non in eterno.
Un rapporto di un comitato di esperti delle Nazioni Unite, pubblicato il 6 dicembre scorso e indirizzato al Consiglio di sicurezza, circa il governo di Tripoli parlava di "fallacie, ambiguità e accuse sul coinvolgimento del governo nel contrabbando di carburante”. Questa accusa ovviamente si va ad aggiungere alle innumerevoli altre denunce accumulate negli anni. Sempre il rapporto parla di una cifra intorno a un valore di 1,9 miliardi di dollari mancante dalle casse della società Noc, cosa che suggerisce che quella somma corrisponda al valore del petrolio libico venduto di contrabbando dalle milizie. Crede che questo fenomeno interessi tutt’oggi l’Italia, come già documentato in passato dalla Procura di Catania nell’indagine “Dirty Oil”? Crede che negli interessi strategici italiani di cui si parla, di fatto si alluda anche all’apporto di contrabbando fornito dalle milizie di Tripoli all’Italia?
Escludo categoricamente che quando si parla di interessi strategici di un paese si vada ad oltrepassare la linea di confine tra legalità ed illegalità. Detto questo il problema esiste, è sempre esistito ed ognuno è libero di operare come vuole, assumendosi le proprie responsabilità. Il fenomeno del contrabbando è sempre esistito, specialmente nel nostro settore, pochi mesi fa si è conclusa una grande inchiesta per petrolio proveniente in Italia dal Kurdistan iracheno e definito di contrabbando sotto controllo Daesh. Come vede in nord-Africa più volte non sono mancati episodi di evidenza oggettiva di tutto questo. Non le nascondo che anche a seguito delle sanzioni UE alla Russia, i maghi economici-finanziari hanno avuto pane per i loro denti ed escogitato le soluzioni migliori per la logistica internazionale del greggio ‘diverso’. Dirty Oil è niente in confronto ad altro, mi creda.
Che idea si è fatto della Libia attuale? Dal dicembre 2021 non si riesce a votare e quindi superare la divisione tra Tripoli e Bengasi, tutto, stando ai sondaggi, per non permettere ai Libici di eleggere presidente Saif Gheddafi. Nel frattempo la Russia, in accordo con il governo di Bengasi, sta armando sempre più la parte di Libia sotto il controllo dell’Esercito Nazionale Libico. Ci sarà una via di uscita necessariamente militare o vede ancora spiragli diplomatici?
Parla con una persona che ama la Libia, ama il popolo libico o meglio ‘i popoli libici’ e che deve solo ringraziare questa terra e alla risorsa custodita nel sottosuolo del paese che, ha contribuito negli anni alla mia crescita professionale, imprenditoriale e culturale, con un continuo studio dei popoli, delle culture e dell’importante dialogo interreligioso che costruisce il difficile triangolo tra Medio Oriente, Africa ed Occidente. Un paese difficile, un paese con enormi contrasti interni, vittima di notevoli interessi economici. Una volta si diceva dove c’è petrolio c’è guerra. Dire di no mentirei a me stesso ed a tanti. A volte mi viene da fare un paragone in Libia nello stesso interesse che vi è per uno dei giacimenti di gas ed olio più grandi al mondo a largo di Gaza ed Israele, si chiama Leviathan, si lotta sempre, fino a distruggere, ma il petrolio resta lì ben protetto. Ho vissuto per anni gli accadimenti, le situazioni militari e tanto altro di questo paese, ne sono innamorato. La diplomazia in Libia ha fallito ed i caschi blu dell’ONU hanno fatto si che diventassero tutti caschi verdi militari. Oggi la nostra volontà è quella di stringere Agreement strategici con tutta la Libia e con diverse aziende collocate sul territorio. Mi auguro quanto prima una, seppur minima, stabilità per una terra meravigliosa a noi molto vicina. Non mi resta che dire Inshallah.
Non crede che i contratti firmati dall'Italia, sia a livello istituzionale sia privato, con il governo di Tripoli, presieduto da Dabaiba, possano essere considerati a rischio, visto che tale governo non riceve il voto di fiducia del Parlamento libico (che al contrario ha votato la fiducia al governo Hammad a Benghazi) e pertanto viene percepito come illegittimo dalla maggioranza dei cittadini libici? Senza contare il rischio di una "caduta" d Tripoli per mano dell'Esercito Nazionale Libico, già sfiorata nel 2020, che di quel Parlamento ne è espressione...
Ritengo che siamo a rischio e siamo sempre in stato di allert, come peraltro lo è stata tutta la nostra attività libica in questi anni. Non si tratta di quale Governo firmi ma bensì di quale amministrazione riesce a portare avanti i progetti. Lo stesso problema lo abbiamo vissuto anche con la NOC, non parlo di cambio di vertice ma di continui cambiamenti politici, economici e finanziari che non hanno permesso di operare in una partnership ottimale con le aziende in joint-venture. Lo stesso Aguila Saleh, presidente della Camera dei Rappresentanti, in un incontro a Roma nel Novembre dello scorso anno, ha manifestato al nostro presidente della Camera dei Deputati Lorenzo Fontana di esercitare un convincimento sul Governo italiano nel riconoscere il Governo del Premier Osama Hammad a Bengasi. Questo significherebbe un grande passo in avanti, la Libia e l’Italia è come se fossero una sola cosa. Non mancherà nei prossimi mesi l’organizzazione di un mio viaggio in Libia e l’incontro con diverse Autorità politiche ed economiche della Libia orientale, territorio forte anche di un notevole hub petrolifero ad oggi non sfruttato al massimo delle sue capacità per problematiche interne al Paese. I tempi stanno cambiando.
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