“Le sette parti della notte”, Paccosi porta in scena Agamben: “Viviamo una dimensione senza alba”
di Giulia Bertotto per l’AntiDiplomatico
Vi sono sette parti della notte: il vespro, il crepuscolo, il conticinio, l’intempesto, il gallicinio, il mattutino e il diluculo.
Isidoro, Etimologie
Riccardo Paccosi, attore e regista teatrale, ci racconta del suo nuovo spettacolo “Le sette parti della notte”, nel quale si esibisce con un testo del filosofo Giorgio Agamben. Sulla scena un linguaggio poetico-filosofico e la toccante arpa del compositore e musicista Andrea Seki, su un canovaccio dinamico che alterna canzoni, versi poetici e frammenti della storia del rock. Abbiamo intervistato Riccardo Paccosi.
Riccardo, come nasce questa ispirazione teatrale?
Questo spettacolo si pone in continuità con il mio percorso artistico degli ultimi anni, a partire cioè dall’emergenza pandemica nella quale mi sono ritrovato in una situazione doppiamente critica: da una parte, come tanti altri colleghi, impossibilitato a svolgere il mio lavoro, con ogni forma di reddito bloccata in quanto lavoratore autonomo, e dall’altra in totale distonia con la narrazione dominante che decantava le virtù di questa nuova normalità nell’isolamento, da reclusi, senza abbracciarsi o danzare più. Infatti in quel periodo ho scritto il mio saggio “Un mondo senza danza: Glossario filosofico-poetico al tempo della covideologia”, sia una serie di spettacoli contro quella che doveva diventare la nuova normalità e fare da anticamera emergenziale al mondo digitalizzato. La repressione di coloro che avevano dubbi riguardo alla gestione sanitaria e alla vaccinazione anticovid è la stessa che oggi strangola coloro che tentano un’analisi geopolitica della guerra della NATO fatta sulla pelle degli ucraini. Per quanto riguarda Agamben, c’è stato uno scambio di e-mail, probabilmente verrà ad assistere allo spettacolo, ne siamo orgogliosi e lieti.
Giorgio Agamben è un filosofo schivo, che ha colto in anticipo rispetto a molti intellettuali, alcune delle situazioni nelle quali ci siamo trovati, spiccando nella filosofia contemporanea con concetti come Homo Sacer e lo Stato di eccezione...
Le parti della notte è una metafora poetica del tempo presente, della situazione al contempo individuale e collettiva che stiamo vivendo, nella quale assistiamo ad un modello sociale sempre più assolutista (lo definirei così più che dittatoriale) nel quale gli organismi elettivi contano sempre meno e le opinioni divergenti vengono soffocate. Questo è la notte, rapporti di forza così sproporzionati che non lasciano scorgere orizzonte di futuro e luce dell’alba per chi non accetta le logiche di guerra e l’ossessione per l’emergenza. Non si vede più L’Infinito di Leopardi oltre la siepe, ma solo l’emergenza permanente che non permette di progettare, sognare, fantasticare, immaginare. Non faccio alcuna differenza tra emergenza pandemica, emergenza legata alla guerra o alla questione ambientale e climatica; vedo che in ogni caso lo Stato Costituzionale viene liquidato in favore dello stato d’eccezione. Il mondo digitalizzato ci fa stare solo nell’immanenza, col viso schiacciato su uno schermo senza contemplare le stelle e rivolgerci quelle domande sul nostro ruolo nel cosmo.
Ma l’essere umano non può prescindere dalla domanda di sé nel cosmo, forse è ciò che lo rende umano?
Io sono anche un attivista, e in questo scenario, a differenza del discorso politico -che è frammentato e infatti divide e crea limiti- l’arte e la poesia mantengono un linguaggio che invece può avvicinare all’Infinito, che certo rimane pur sempre irraggiungibile. Ed è ciò che ha fatto Agamben ispirandosi a Sant’Isidoro che la Chiesa ha poi nominato patrono di Internet, scrivere in forma filosofico-poetica, trovando delle parole per reagire. Anche se il sistema culturale si è così irregimentato a livello ideologico nell’industria culturale, non possono che crearsi spazi alternativi di espressione artistica.
Il destino agiografico di Sant’Isidoro è beffardo e paradossale! “Le sette parti della notte” ricorda anche la “Notte Oscura” del mistico San Giovanni della Croce.
Già. Si tratta di una narrazione estetica, etica e poetica della notte, dal vespro al momento più buio, quando l’oscurità è così profonda che immobilizza, non si riesce ad agire, fino al canto del gallo che in realtà è un grido, lasciando spazio ai bagliori dell’aurora. Noi non stiamo solo attraversando la notte, la stiamo abitando stabilmente, una condizione di tenebra perpetua imposta dai governi che si fingono diversi ma non rispondono mai alla volontà popolare e da un apparato mediatico che sostiene questa condizione. Insomma è come se avessimo dimenticato il giorno. Non c’è nulla al di là della paura, non vediamo luce e futuro.
Per gli antichi greci era un animale sacrificale, anche Socrate chiese ai suoi allievi di donarlo ad Asclepio al momento della propria morte. Perché il gallo grida?
Ce lo spiega Agamben stesso: “Il canto del gallo non annuncia l’aurora. Il suo – se l’ascoltate con attenzione – è l’urlo affranto di chi veglia nella notte e fino all’ultimo non sa se verrà il giorno”.
Che cosa possono fare, sopra e sotto al palco, tutti coloro che vorrebbero vedere un nuovo chiarore?
Per me l’unica possibilità è quella di un’etica tragica, come quella degli antichi greci; fare quello che si ritiene giusto anche quando non c’è più nessuna speranza. Bisogna farsi forza del fatto di sapere che l’atto di opporsi si può riverberare nel futuro, anche se ora non ha alcuna efficacia e non viene compreso. Nell’Antigone di Sofocle c’è una ribellione che si contrappone alla Legge ingiusta, quando viene impedito di fare riti funebri, come durante il lockdown, del resto. Antigone ha tutti contro ma il suo gesto è diventato eterno, è diventato archetipo. Bisogna dunque fare e mantenere vivo ciò che restituisce dignità all’essere umano a prescindere dalle reali possibilità di cambiare lo stato delle cose. Questa è forse l’unica alba che possiamo scorgere.
Riccardo e Andrea saranno sul palco del teatro San Leonardo di Viterbo il 2 febbraio e a Roma il 4 febbraio al locale Sweet Bunch, entrata ad offerta libera.
Foto in copertina di Tuscia Up