Andrea Zhok - BELLUM OMNIUM CONTRA OMNES

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L'incriminazione di Donald Trump è un segno, uno dei molti e sempre più frequenti segni, della fase terminale, dissolutiva delle liberaldemocrazie occidentali.

E' evidente a chiunque voglia vedere che l'incriminazione è un tentativo di utilizzare l'apparato statale americano per sgombrare il campo da un candidato alle prossime presidenziali, candidato ingombrante e scarsamente controllabile. Ma più importante di questa valutazione soggettiva è il fatto che questa lettura dei fatti è generalmente accettata all'interno degli stessi USA, dove davvero pochi credono che la fattispecie legale sia qualcosa di diverso da una scusa.

La verità è che nella cultura pragmatica e utilitarista statunitense (e oramai generalmente occidentale) c'è spazio soltanto per rapporti di forza e di interesse, e che questi da tempo vengono stancamente travestiti da funzionamento formale delle istituzioni. E la popolazione media percepisce in misura crescente precisamente questa dinamica - intrinsecamente falsa e falsificante - esprimendosi per lo più con la semplice disaffezione alle urne, talvolta con proteste che costeggiano la guerra civile.

Sin dalla sua origine storica nella cultura di matrice liberale convivevano due istanze distinte e potenzialmente divergenti.
 
Da un lato un'idea di razionalità universalistica, associata ad un modello procedurale, formale, legalistico dei processi democratici, e dall'altro un'idea competitivistica, conflittuale, della società, associata ai meccanismi di mercato. L'illusione in cui ci si è pasciuti per un relativamente lungo periodo (la storia delle liberaldemocrazie è di per sé breve) era di potersi affidare all'autonomo funzionamento dei meccanismi procedurali senza appellarsi a niente di simile ad un Ethos comune, ed immaginando che la "legge", i "diritti", le "istituzioni", ecc. fossero una sorta di corpo sociale separato, e che mentre nel resto della società vigeva una lotta (economica) generalizzata di tutti contro tutti comunque la garanzia delle forme potesse preservarsi intoccata.

Ciò non è mai stato vero, ma per un paio di generazioni si è potuto sfruttuare il capitale umano (e morale) costruito in epoche precedenti, senza giungere alle estreme conseguenze.

Ma ora gli esiti ultimi di questa dinamica sono sempre più davanti agli occhi di tutti.

Classi dirigenti nate e cresciute in un'atmosfera culturale hobbesiana e "machiavellica", dove vale tutto purché gli interessi della propria oligarchia di riferimento siano tutelati, hanno perso oramai ogni tipo di scrupolo e pudore. Le "istituzioni", le "leggi", i "diritti umani" vengono usati come mazze e martelli liberamente manipolabili per frantumare gli oppositori e portare avanti le proprie agende.

(Giusto ieri il procuratore generale della Louisiana Jeff Landry spiegava in audizione pubblica come l'FBI avesse fatto pressioni su YouTube, Facebook, Twitter, TikTok e YouTube per rimuovere o bloccare contenuti politicamente sgraditi - specificamente nell'ambito della pandemia, ma nella stessa lina è la chiusura dello stesso account Twitter di Trump, due anni or sono.)

La violenza sociale di cui è pervasa la società americana (e che è arrivata anche in Europa) esprime nel modo più elementare il messaggio che la cultura egemone ribadisce h24, sia pure in forme imbellettate: le cose sono di chi ha la forza di prendersele e il mondo è diviso tra i vincenti, che questa forza ce l'hanno, e i perdenti (la maggoranza di chi subisce).
Volendo riassumere con un singolo tratto di pennello la parabola delle liberaldemocrazie occidentali (USA in primis) potremmo dire questo.

Esse hanno proceduto per diverse generazioni ad una sistematica erosione di ogni valore, ogni identità, ogni tradizione, ogni elemento che potesse conferire solidità ed orientamento morale. Ma questo processo di liquefazione andava di pari passo con una dinamizzazione della vecchia società, tale per cui gli spazi di negoziabilità, di commercio, di transazione economica si estendevano progressivamente: gli spazi di ciò che poteva essere comprato e venduto si ampliavano continuamente, e così la competizione per comprare e vendere al meglio. Perciò il meccanismo complessivo appariva in questa forma: una società sempre più mobile, liquida e provvisoria in cui simultaneamente aumentava la disponibilità monetaria media e lo spazio di ciò che era disponibile sul mercato.

Lo "scambio culturale" avvenuto nelle liberaldemocrazie, scambio tacitamente percepito e come tale introiettato, è stato tra una riduzione delle certezze e delle basi etiche ed un aumento del potere d'acquisto e dell'offerta di mercato. Finché si poteva mantenere la promessa, almeno potenziale, di una diffusa fase incrementale sul piano economico ciò che veniva perduto non sembrava inestimabile. Questo perché società ricche avevano molti modi per disinnescare l'incremento di conflittualità e la perdita di radici e fondamenta. Ma ora che la fase di crescita è da tempo stagnante e che non promette di riprendersi più (non a livello di massa) le liberaldemocrazie di ritrovano di fronte al deserto che hanno creato.

Ciò che abbiamo culturalmente distrutto (e che continuiamo quotidianamente a distruggere) era, nel bene e nel male, il frutto di un compromesso secolare, quando non millenario: forme di mediazione tra credenze, conoscenze, valori, che avevano tessuto (a modo proprio) ciascuna società e che permettevano uno sviluppo comparativamente lento, ma accettabilmente equilibrato.

Tutto questo è stato disgregato e screditato, lasciando liberi gli spiriti animali del conflitto e dell'autoreferenzialità.

Ora che la promessa di una valvola di sfogo acquistabile sul mercato si allontana per i più, non c'è più quasi niente su cui ricadere. Tutte le forze del conflitto, della competizione, della distruzione sono state messe in moto ed esacerbate. A tenere insieme la società sono, da un lato, lo strascico residuale delle vecchie illusioni (le chiacchiere liberaldemocratiche sullo "stato di diritto" e la "società aperta"), e dall'altro la mancanza di alternative culturalmente disponibili. Questo frena i processi degenerativi, ma non può né invertirli né correggerli.

Il compito, di difficoltà immensa, che abbiamo davanti come generazione è quello di tentar di ricostruire quelle alternative culturali alla dissoluzione liberaldemocratica in corso, senza di cui ad attenderci c'è solo un infinito avvitamento nel caos.
 

Andrea Zhok

Andrea Zhok

Professore di Filosofia Morale all'Università di Milano

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