Alcune note scomode sul ddl Zan

Alcune note scomode sul ddl Zan

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di Piotr Zygulski

 

Premessa
Prima di ogni cosa vorrei sgombrare il campo da un equivoco, forse il più frequente. Quindi chiarisco subito che il ddl Zan non riguarda l’ingiuria, cioè l’insulto personale (es. “brutt* fr*”, depenalizzata da anni: chi offende rischia una sanzione, su richiesta della persona offesa, da 100€ a 12.000€) ma va a intervenire sugli articoli già esistenti 604bis e 604ter del vigente codice penale. Detto ciò, spero che queste note scomode contribuiscano a fare chiarezza, a suscitare perplessità e a de-polarizzare il dibattito in corso.

 

Sul reato di istigazione / discriminazione

In breve, il 604bis in vigore prevede i reati di:

- propaganda di idee basate su superiorità o odio esclusivamente di tipo etnico/razziale;

- discriminazione o istigazione a commettere atti di discriminazione o di violenza per motivi razziali, etnici, ma anche nazionali o religiosi (ad es. un generico, quanto inquietante, “per quei * vanno riaperti i forni”);

- organizzazione/adesione ad associazioni che hanno questi scopi dichiarati.

 

Il ddl Zan aggiunge (dopo «religiosi») anche sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità. La propaganda – che non è la semplice manifestazione di idee personali, ma deve essere una diffusione in grado di convincere gli altri – resterebbe vietata solo nel casi di odio etnico/razziale, anche se il confine tra propaganda e istigazione alla discriminazione non sempre è chiaro. Però, visto che sono state avanzate critiche sulla vaghezza della formulazione, l’articolo 1 del ddl Zan sancisce una definizione degli aspetti riguardanti il genere, piuttosto condivisa dagli studiosi del tema, ma che alcuni non convince: es. genere = «qualsiasi manifestazione esteriore»; identità di genere = «identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere». Questo tutelerebbe tutte le vittime nel caso di un “sparate alle checch*”, a prescindere dal fatto che le vittime siano oppure no persone LGBT. Anche perché non la norma non usa il termine “omotransfobia” o “persone LGBT”, bensì parla di istigazione alla discriminazione basata sull’odio di un qualsiasi orientamento sessuale (compreso quindi quello eterosessuale) o identità di genere (compresa quella maschile). Inoltre l’articolo 4 del ddl introduce una tautologica salvaguardia delle idee personali « purché non idonee a de­ terminare il concreto pericolo del compi­ mento di atti discriminatori o violenti»; ma sembra tautologico, perché già ora i giudici per tutelare la libertà di espressione – diritto costituzionalmente garantito – emettono condanne per “istigazione” (si pensi anche che le bestemmie sono punibili con sanzioni amministrative sino a 309€) in rari casi, solo in caso di imminente pericolo; anche se al momento c’è la tendenza a ricorrervi più spesso, con sentenze contrastanti (penso a Erri De Luca e al suo processo per “istigazione” al sabotaggio del TAV, ma anche alle associazioni neofasciste sciolte quasi solo se armate). È sempre delicato affidarsi a un giudice che deve vagliare caso per caso, per distinguere le stupidaggini “innocue” da ciò che invece potrebbe in futuro concretizzarsi in discriminazione, e distinguere una vera discriminazione da una legittima disparità di trattamento su basi fondate (ad esempio un ipotetico “bonus assorbenti” riservato alle donne).

 

Con il penalista Roberto Zannotti (LUMSA) ci si domanda soprattutto: «Ha senso utilizzare il diritto penale come strumento di promozione di nuovi diritti?». Infatti si tratta di uno strumento sempre potenzialmente repressivo; «l’istigazione al reato è peraltro una figura tanto amata dal legislatore di epoca fascista […] quanto giustamente malvista dai giuristi di epoca repubblicana», osserva Sirio Zolea (UNIMC). Inoltre comporta estenuanti conflitti tra avvocati, mentre sembrano preferibili altri mezzi (educativi, linee guida, nuovi diritti civili, …) come ha suggerito il segretario radicale Maurizio Turco. Dagli anni ‘90 in poi purtroppo si è affermata una crescente tendenza repressiva a voler eliminare l’avversario politico per via giudiziaria o psichiatrica, anziché combattere le sue idee sul piano culturale, elettorale o parlamentare. Questo atteggiamento ri-vendicativo e vittimistico non fa che aumentare l’odio e l’intolleranza, anziché risolverle: «Non confonderei la richiesta di più manette con la richiesta di più diritti civili», scrive il pungente Manuel Peruzzo. Personalmente sarei proprio per l’abolizione del 604bis, perché per come è scritto si presta a valutazioni arbitrarie ed abusi, a seconda della scuola di interpretazione del giudice. Mi trovo in sintonia con Luca Ricolfi: «Finché non si riscrive la legge Mancino la libertà di espressione è in pericolo, perché quella legge lascia in mano ai giudici la facoltà di stabilire se una certa idea determina oppure no il “concreto pericolo” di azioni violente o discriminatorie». In questo distinguerei i vecchi liberali, che fanno prevalere la più ampia libertà di parola e la tolleranza anche per gli intolleranti (per intenderci: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo»), dai progressisti liberals per i quali l’attenzione è soprattutto sui sentimenti offesi delle minoranze da promuovere (affirmative actions), punendo o rimuovendo (cancel culture) coloro che vengono considerati “intolleranti” in quanto si macchiano di “crimini d’odio” (hate crimes).

 

Sull’aggravante
Il 604ter riguarda invece le aggravanti che aumentano la condanna in caso di pena per altri reati (es. “violenza privata”, “tentato omicidio”, ecc.). Anche in tali casi, come per l’articolo precedente, il ddl Zan aggiunge dopo i motivi “religiosi” anche sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità. I giudici al momento in tali casi – di solito, ma non sempre – stanno ricorrendo alle aggravanti di “motivi abietti” o “minorata difesa”. Alcuni hanno chiesto una sistemazione più completa della formulazione in vigore, per evitare categorizzazioni e che vengano escluse categorie o aspetti personali che potrebbero essere presi di mira (il bodyshaming?). «Cosa fa la legge Zan? Allarga le categorie oggetto di discriminazioni ma lo fa all’infinito. Ne rimarrà fuori sempre una», ha osservato Ida Dominijanni. Per ovviare a tale problema, il presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli aveva proposto semplicemente di modificare l’articolo 61 del codice penale aggiungendo una aggravante onnicomprensiva per «discriminazioni lesive della dignità e dell’uguaglianza della persona umana». Un appello, pare, caduto nel vuoto.

 

Sulla Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia
Tale Giornata si limiterebbe a una proposta, seppur ufficiale; nessuna imposizione né violazione del Concordato... Ogni amministrazione pubblica, inclusa la scuola – compatibilmente «nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa […] e del patto educativo di corresponsa­bilità» – e ogni docente stabilirà come aderirvi, come accade per il Giorno del Ricordo, Giornata della Memoria, della Consapevolezza dell’Autismo, del Mare, ecc. Questa modalità personalmente non mi entusiasma, e da docente preferisco lavorare sui temi in modo trasversale e per l’intero l’anno scolastico, tanto che poi la ricorrenza puntuale diventa persino superflua. Eppure, per molti, una data sul calendario può aiutare a ricordare che almeno una volta all’anno sarebbe bene parlare di certi temi. Anzi, si dovrebbe fare di più: le scuole “paritarie”, dato che ricevono finanziamenti pubblici e quindi rinunciano alla loro piena libertà che godrebbero se fossero puramente “private”, non dovrebbero sottrarsi a un piano nazionale di contrasto a ogni discriminazione, incluse quelle di orientamento sessuale, identità di genere e stato civile. Purtroppo capita tutt’oggi che docenti siano licenziati da scuole paritarie perché uniti civilmente, transessuali o divorziati; come agire su questo? Le istituzioni religiose qui potrebbero avanzare il primo passo.

 

Conclusione
In fin dei conti, il ddl Zan non cambierebbe un granché e non risolverebbe un granché; dati alla mano, infatti, con l’attuale normativa “anti-odio” (cfr. leggi Scelba, Reale, Mancino) le violenze contro immigrati e le provocazioni neofasciste sono aumentate, anziché diminuire. Non capisco pertanto tutto questo scaldarsi. Se non, probabilmente, per vincere un braccio di ferro, mettere una bandierina e fidelizzare i propri elettorati contrapposti che ne fanno una questione di principio. Ben vengano mediazioni – purché non pretestuose, come purtroppo molti interventi delle destre in parlamento – ma nessuno ha mai portato dati effettivi: Quali e quanti casi concreti attualmente impuniti andrebbero puniti? Quanti e quali processi effettivamente si concluderebbero con condanne più pesanti rispetto a quelle inflitte? Salvo smentite, a occhio direi un numero tendente allo zero. Poiché è meglio nessuna legge che una legge inutile o raffazzonata, preferirei che non venisse approvata. Vorrei appassionarmi d’altro: di cose che incidono concretamente nella vita delle persone. So di essere la minoranza delle minoranze, ma poco importa. E con questo mi taccio.

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