L’elefante nella stanza: perche' parlare di diritti dei Popoli Indigeni e' ancora tabù

3370
L’elefante nella stanza: perche' parlare di diritti dei Popoli Indigeni e' ancora tabù

 

I Popoli Indigeni, secondo gli ultimi dati della World Bank, sono 476 milioni di persone nel mondo. Sono una presenza che è il classico “elefante nella stanza”, elephant in the room: una verità che, per quanto ovvia e appariscente, viene ignorata o minimizzata. Un problema molto noto ma di cui quasi nessuno vuole discutere.

In questa epoca di globalizzazione galoppante, la diversità culturale, espressa nelle usanze, nel linguaggio, nella musica e altri aspetti tradizionali diventa più che mai un prezioso patrimonio dell’umanità. Ma quello dei Popoli Indigeni è un argomento spesso ignorato, soprattutto a livello di Governi e legislazioni. Ne parlo come attivista, che si dedica da vent’anni alla difesa dei Popoli Indigeni e, poichè nel 2010 sono stata adottata dalla famiglia Black Eagle della Crow Nation, anche come membro della comunità dei Nativi Americani.

Perché sui media si parla così poco di Popoli Indigeni, dei Nativi Americani e dei loro diritti

 Bisogna risalire al peccato originale e citare la storia e gli inizi: il colonialismo europeo, con l’appoggio della Chiesa di Roma, alla conquista delle “terre di nessuno”, terrae nullius, sancito e “santificato” con bolle papali come la Bolla Inter Caetera e altre. Le potenze del vecchio continente sguinzagliarono navi e “conquistatori” in tutti i continenti, con la scusa di cristianizzare i popoli selvaggi ma, in realtà, alla ricerca di risorse, territori e ricchezze di cui appropriarsi con ogni mezzo. Bartolomé de Las Casas, un vescovo cattolico spagnolo, si schierò dalla parte dei Nativi Americani e riportò, nelle sue cronache del Cinquecento, una ferocia inusitata contro gli indigeni in questa “missione” degli Europei. La geopolitica mondiale attuale è stata definita allora, grazie in primis alle bolle papali di cui molte associazioni native hanno chiesto l’abolizione.

Parlare di diritti dei Popoli Indigeni va a minacciare gli interessi di molti Paesi europei e delle loro “propaggini” nate dal colonialismo, immensi territori come, ad esempio, Canada, Stati Uniti e Australia. Tra il 1815 e il 1914 i territori coloniali direttamente controllati dai paesi europei raggiungevano l’85% della superficie terrestre. Pur se negli ultimi decenni se ne parla più apertamente, la estromissione dei Popoli Indigeni dai libri di storia, di diritto e di sovranità territoriale è un chiaro caso di censura e controllo politico, ideologico e morale. Riconoscere le proprie colpe, sdoganare i diritti originari di questi Popoli alle proprie terre e all’autogoverno, indurrebbe all’enorme rischio di dover ridisegnare completamente la mappa geopolitica mondiale, in particolare del mondo occidentale. Va da sé che i media stessi ne parlino con il contagocce, per non toccare un punto dolente, estremamente delicato per molti Governi. Il cosiddetto mondo occidentale soffre di un terribile eurocentrismo, motivato da un lato da una sindrome di presunta superiorità, dall’altro da una continuata appropriazione indebita di territori.

La Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni e altre Convenzioni

 Si tratta di un punto molto spinoso. La Dichiarazione dei diritti dei Popoli Indigeni, UNDRIP, è stata adottata in tempi recenti dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, durante la sua 62ª sessione in New York, il 13 settembre 2007. Votarono a favore 143 stati, 4 votarono contro (non a caso, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti, nati come colonie dell'Impero britannico e a maggioranza di popolazione non indigena); 11 stati si astennero (Azerbaijan, Bangladesh, Bhutan, Burundi, Colombia, Georgia, Kenya, Nigeria, Federazione Russa, Samoa e Ucraina) e 34 non furono presenti. In seguito i 4 stati a sfavore cambiarono voto, pur se molte critiche e opposizioni alla Dichiarazione vanno avanti tuttora. Tra i diritti collettivi che la Dichiarazione proclama, a favore delle popolazioni autoctone, vi è quello all’autodeterminazione, a non essere espulsi dai loro territori e a godere delle risorse naturali situate su di esse. Oggi la Dichiarazione è lo strumento internazionale più completo sui diritti dei Popoli Indigeni. Essa stabilisce un quadro universale di standard minimi per la sopravvivenza, la dignità e il benessere dei Popoli Indigeni del mondo. Ma purtroppo non è uno strumento giuridicamente vincolante ai sensi del diritto internazionale: stabilisce sono uno standard che “dovrebbe” essere seguito. Come dicevamo prima: riconoscere i diritti dei Popoli Indigeni ai loro territori costituirebbe una “spesa” troppo ingente, quasi incalcolabile per molti Stati.

Un altro strumento importante è l’UN Genocide Convention, la Convenzione delle Nazioni Unite per la Prevenzione e la Punizione del Crimini di Genocidio, redatta nel 1948: è un trattato internazionale che mette al bando il genocidio e obbliga gli Stati parte a implementare l'applicazione di tale divieto. Lo hanno sottoscritto finora 154 stati e 40 non ancora; tra gli stati che non lo hanno ancora sottoscritto troviamo alcuni nella stessa “lista nera” dell’UNDRIP come il Bhutan, il Kenya e Samoa. L’ultima sottoscrizione alla Convenzione è quella della Repubblica Dominicana nel 2022. E’ interessante notare che questa Convenzione fu approvata negli Stati Uniti solo nel 1988 da Ronald Reagan, nonostante le forti opposizioni. Si considerava a rischio la sovranità statunitense. L’accusa di genocidio non è un pianto romantico di liberali e buonisti. Si adatta perfettamente alla situazione vissuta dai Nativi Americani, ma anche da altri Popoli Indigeni. Esiste poi anche la ILO 169, una convenzione dell’International Labour Organisation, molto importante, il cui obiettivo centrale è proteggere i diritti umani dei Popoli Indigeni e riconoscere “le aspirazioni di questi popoli a esercitare il controllo sulle proprie istituzioni, sui propri modi di vita e sullo sviluppo economico e a mantenere e sviluppare le proprie identità, lingue e religioni, nel quadro degli Stati in cui vivono”. Qui le adesioni sono state a oggi solo di ventiquattro Stati, di cui la ultima la Germania, nel 2021. Una convenzione ignorata dalla maggior parte dei Governi. Organizzai una petizione per l’adesione dell’Italia alla ILO 169 circa dieci anni fa, ma essa, con allegata raccolta firme, inviata al Governo e al Papa, non ottenne alcuna risposta».

Link al testo integrale dell’UNDRIP: https://www.un.org/esa/socdev/unpfii/documents/DRIPS_it.pdf

Link al testo dell’UN Genocide Convention:

https://www.un.org/en/genocideprevention/genocide-convention.shtml

Link alla lista di sottoscrizioni della ILO 169:

https://normlex.ilo.org/dyn/nrmlx_en/f?p=NORMLEXPUB:11300:0::NO::P11300_INSTRUMENT_ID:312314

Le scuse epocali verso i Nativi del Canada e degli Stati Uniti da parte di Papa Francesco e di Biden

 Da parte di entrambi, si è trattato di scuse per il sistema delle scuole residenziali, che è stato imposto dai Governi e gestito in primis dalla Chiesa cattolica, e che ha duramente colpito generazioni di Nativi con l’assimilazione forzata e un tentativo violento di cancellare la loro cultura. I giovani indigeni di Canada e Stati Uniti sono stati costretti, dalla fine dell’Ottocento fino a quasi venti anni fa, a lasciare le proprie famiglie e comunità, e gli è stato proibito di usare i loro nomi, parlare le loro lingue, praticare la loro religione, oltre a subire in molti casi documentati sevizie gravissime. Ne parlo dettagliatamente nella mia opera “Le scuole residenziali indiane. Le tombe senza nome e le scuse di Papa Francesco”. In questi casi, le scuse sono state funzionali al potere di chi le porge, e non possono essere un mero esercizio statale di “colpa performativa”. Come hanno scritto Mark Gibney ed Erik Roxstrom in The Status of State Apologies: “Lo Stato potente non solo decide se e quando saranno fatte le scuse (o se saranno fornite delle ‘quasi scuse’), ma anche il modo in cui tutto ciò sarà eseguito”. In sostanza, le scuse non bastano, anzi possono costituire in sé una forma di violenza sulle vittime. L’aspetto positivo delle scuse è che, in particolare nel caso di quelle di Papa Francesco, l’impatto mediatico a livello mondiale è stato un ottimo strumento di divulgazione di verità che sono state taciute a lungo.

Cosa hanno in comune i Popoli Indigeni 

Cercherò di essere breve e di attenermi ad alcuni concetti essenziali. Innanzitutto “indigeni” vuol dire che sono pressoché da sempre presenti nello stesso territorio, adattandosi, ottimizzando l’utilizzo delle risorse ivi presenti e identificandosi nell’ambiente stesso, in uno stile di vita quasi simbiotico. Le comunità indigene in buona parte sono definite come “cacciatori-raccoglitori”, comunità che non praticano l’agricoltura, ma questo non è esatto, basti pensare alle civiltà precolombiane e alle loro coltivazioni, ma anche ai Cherokee nell’est degli Stati Uniti, prima del famoso “Sentiero delle lacrime”. Nei popoli nativi la caratteristica predominante è il rispetto, e quindi il “non-sfruttamento” esasperato delle risorse del territorio, in cui noi occidentali siamo maestri. Con la conseguenza, confrontati alla nostra società, di alcune importanti differenze: niente sovrappopolazione; conservazione di ecosistemi; abilità di sopravvivenza senza la schiavitù tecnologica. Mi ha colpito di questi Popoli l’attaccamento all’identità e tradizioni; la tenacia e la determinazione con cui cercano di salvaguardare la loro cultura e trasmetterla alle giovani generazioni — oggi così esposte al bombardamento mediatico del mondo occidentale e all’omologazione culturale della globalizzazione. La cosa peggiore che hanno in comune è una storia di violenza, abusi e soprusi da parte dei “conquistatori”, e il continuo assoggettamento forzato alla cultura dominante. Sanno come sopravvivere nel deserto, a elevate altitudini, nella foresta tropicale e nei ghiacci, ma molte comunità sono già state completamente cancellate dall’arrivo degli Europei.

La “diversità” dei Nativi Americani e dei Popoli Indigeni

Quando ho visitato la prima volta i Navajo, a Window Rock, sono rimasta straordinariamente colpita dalla loro “diversità” in termini di valori e di approccio alla vita. Molto lontani dal pragmatismo occidentale, da quel nostro inquadramento basato sull’avere e non sull’essere, sulla nostra identità incentrata sul lavoro e sul raggiungimento di obiettivi spesso stereotipati e sopravvalutati. Dopo i Navajo, ho incontrato altri popoli nativi americani, e poi i Bakà del Camerun, i San del Kalahari, i Rabari del Gujarat, i Bonda dell’Orissa, il popolo tibetano, gli aborigeni australiani e tanti altri. Nei Popoli Indigeni ho ritrovato quella preziosa “diversità” culturale e sociale, diversa da noi, ma con un’estrema assonanza tra di loro. Questo mi ha spinto a viaggiare, studiare, approfondire. E a vedere il mondo in modo differente. Negli ultimi anni mi sono poi concentrata sui Nativi Americani, che hanno nella loro storia e resistenza molto da insegnare, soprattutto come specchio della nostra civiltà occidentale. Oggi non abbiamo a che fare con i Popoli Indigeni originari, ma con quelli che convivono al nostro fianco, subendone le conseguenze. Dapprima vi è stato il colonialismo, cui è seguito il neocolonialismo. Oggi, per molti popoli la grande sfida è convivere con i nostri sistemi invasivi – dall’estrazione di combustibili fossili, alla deforestazione, alle coltivazioni intensive, alle espropriazioni di territori, alla globalizzazione, per citarne solo alcuni – e sopravvivere, mantenendo la propria cultura e identità.

La situazione dei Popoli Indigeni e dei Nativi Americani oggi

Devo di nuovo sottolineare che le problematiche dei Popoli Indigeni sono ignorate dalla maggior parte della popolazione mondiale, proprio per i motivi che dicevo prima: da un lato i media ne parlano assai poco, dall’altro i Governi che sono più coinvolti temono grandemente di perdere terre e diritti su ciò che è stato sottratto ai Popoli Indigeni nei secoli scorsi e che viene sottratto anche oggi. In alcuni Paesi, come ad esempio in Africa e in Asia, molte situazioni sono drammatiche e ho potuto assistere a vere e proprie tragedie in termini di espropriazioni, schiavitù, violenza, assenza del rispetto di diritti umani. In alcuni Paesi come il Camerun, il Botswana, l’India e altri mi sono trovata a indagare su violazioni dei diritti umani dei Popoli Indigeni a carico di multinazionali con interessi di sfruttamento minerario e forestale. In quei casi, viaggiando in incognito e senza coperture mediatiche, in luoghi ai confini del mondo, si rischia di scomparire – o meglio di essere fatti scomparire – in un attimo.

I Nativi Americani, invece, oggi sono negli Stati Uniti oltre nove milioni e in Canada oltre tre milioni: sono molto attivi, lottano per i propri diritti, hanno creato associazioni e università native, e pur se la loro posizione ha ancora tante problematiche da risolvere, hanno ottenuto leggi che li aiutano a proteggere le loro tradizioni, religioni e linguaggi. Molta la strada da fare, ma sono davvero un grande esempio di resistenza. La unione d’intenti, la determinazione e la collaborazione tra i consigli tribali e le comunità sono migliori che in tante comunità occidentali.

Si tratta per una buona parte di persone che non appartengono al mondo dei compromessi.

 

Raffaella Milandri

Raffaella Milandri

 

Scrittrice e giornalista, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è esperta studiosa dei Nativi Americani e laureata in Antropologia.
Membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e della tribù Crow in Montana. Ha pubblicato oltre dieci libri, tutti sui Nativi Americani e sui Popoli Indigeni, con particolare attenzione ai diritti umani, in un contesto sia storico che contemporaneo. Si occupa della divulgazione della cultura e letteratura nativa americana in Italia e attualmente si sta dedicando alla cura e traduzione di opere di autori nativi. Attualmente conduce un programma radiofonico sulla musica nativa americana, "Nativi Americani ieri e oggi" e cura la riubrica "Nativi" su L'AntiDiplomatico.

 

ATTENZIONE!

Abbiamo poco tempo per reagire alla dittatura degli algoritmi.
La censura imposta a l'AntiDiplomatico lede un tuo diritto fondamentale.
Rivendica una vera informazione pluralista.
Partecipa alla nostra Lunga Marcia.

oppure effettua una donazione

La scuola sulla pelle dei precari di Marco Bonsanto La scuola sulla pelle dei precari

La scuola sulla pelle dei precari

Ventotene e dintorni di Alessandro Mariani Ventotene e dintorni

Ventotene e dintorni

La nuova "dissidenza" che indossa orologi svizzeri di Loretta Napoleoni La nuova "dissidenza" che indossa orologi svizzeri

La nuova "dissidenza" che indossa orologi svizzeri

Il Poker delle monete è allo “stallo messicano" di Giuseppe Masala Il Poker delle monete è allo “stallo messicano"

Il Poker delle monete è allo “stallo messicano"

Il fraintendimento più profondo sulla parola «liberazione» di Francesco Erspamer  Il fraintendimento più profondo sulla parola «liberazione»

Il fraintendimento più profondo sulla parola «liberazione»

Il 25 aprile e la sovranità di Paolo Desogus Il 25 aprile e la sovranità

Il 25 aprile e la sovranità

L'Ecuador verso l'abisso. Contro tutti i pronostici vince Noboa di Geraldina Colotti L'Ecuador verso l'abisso. Contro tutti i pronostici vince Noboa

L'Ecuador verso l'abisso. Contro tutti i pronostici vince Noboa

Israele, la nuova frontiera del terrorismo di Clara Statello Israele, la nuova frontiera del terrorismo

Israele, la nuova frontiera del terrorismo

La retorica "no border" e Salvini: due facce dello stesso imperialismo di Leonardo Sinigaglia La retorica "no border" e Salvini: due facce dello stesso imperialismo

La retorica "no border" e Salvini: due facce dello stesso imperialismo

Missile sulla chiesa di Sumy: cui prodest? di Francesco Santoianni Missile sulla chiesa di Sumy: cui prodest?

Missile sulla chiesa di Sumy: cui prodest?

La nuova Bucha di Zelensky di Marinella Mondaini La nuova Bucha di Zelensky

La nuova Bucha di Zelensky

La repressione dello Stato dietro al Decreto Sicurezza di Giuseppe Giannini La repressione dello Stato dietro al Decreto Sicurezza

La repressione dello Stato dietro al Decreto Sicurezza

Le nozze tra Meloni e Erdogan che non piacciono a (quasi) nessuno di Michelangelo Severgnini Le nozze tra Meloni e Erdogan che non piacciono a (quasi) nessuno

Le nozze tra Meloni e Erdogan che non piacciono a (quasi) nessuno

La California verso la secessione dagli Stati Uniti? di Paolo Arigotti La California verso la secessione dagli Stati Uniti?

La California verso la secessione dagli Stati Uniti?

Le inutili spese militari globali di Michele Blanco Le inutili spese militari globali

Le inutili spese militari globali

Un sistema da salari da fame che va rovesciato di Giorgio Cremaschi Un sistema da salari da fame che va rovesciato

Un sistema da salari da fame che va rovesciato

Registrati alla nostra newsletter

Iscriviti alla newsletter per ricevere tutti i nostri aggiornamenti