Decreto Missioni e Libia. Ma quali accordi? Il bavaglio delle Ong sulla bocca degli schiavi

Decreto Missioni e Libia. Ma quali accordi? Il bavaglio delle Ong sulla bocca degli schiavi

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Domani 15 luglio il Parlamento italiano voterà il decreto Missioni che prevede il prolungamento degli accordi con il Governo di Tripoli in tema di supporto alla Guardia costiera libica.

Il mondo delle ONG e dei paladini dei diritti umani a singhiozzo si è mobilitato per la ricorrenza, ormai un appuntamento fisso annuale, un festival di alta retorica lontana dai fatti.

Per l’occasione ha creato lo slogan “non sono d’accordo” e un logo con un europeo bendato che non vuole vedere. Ma a me sembra che la benda sia stata messa a qualcun altro, davanti alla bocca, perché non parli.

Sono 3 anni che gli schiavi africani parlano dalla Libia attraverso il progetto “Exodus”. Sono 3 anni che nell’agenda dei “salvatori europei” non c’è traccia del contributo dei diretti interessati, gli schiavi in Libia.

Le ONG e schiera di anime belle al seguito non sarebbero d’accordo con gli accordi firmati tra l’Italia e il governo di Tripoli allo scopo di fermare i cosiddetti “migranti” e riportarli a terra.

Da 3 anni chi sta in Libia ci informa che in questo modo la questione è mal posta.

Quei soldi infatti non servono a convincere la Guardia costiera libica ad intervenire.

 

ONG: UN’ESCA, PIU’ CHE UN SOLUZIONE

 

Un ragazzo africano che decide di imbarcarsi su un gommone sgonfio dalle coste libiche paga circa 1.000 al trafficante. Una volta intercettato in mare e riportato a terra (dalla Guardia costiera o molto spesso da Libici che organizzano battute di caccia in alto mare) un cosiddetto “migrante” può fruttare fino a 4.000 euro, una volta sottoposto a tortura a scopo di estorsione.

Riportare i cosiddetti “migranti” a terra è un business per i Libici, a prescindere dai finanziamenti italiani.

Il perché sia questo il meccanismo, ce l’hanno spiegato in tutti i modi i lavoratori neri africani in Libia. Se i Libici facessero un appello per radunare migliaia di “migranti” con il proposito di sottoporli a tortura a scopo di estorsione, nessuno si presenterebbe. Questo è logico.

Se invece l’appello è per fargli credere di raggiungere in fretta l’Europa, la proposta è molto più allettante e qualcuno si presenta.

Ma i trafficanti sono in combutta con le milizie. Quando un gommone sgonfio lascia le coste, il trafficante informa la Guardia costiera. Questa sopraggiunge e sequestra i “migranti” ormai inermi e allo scoperto. Un parte della somma ottenuta dall’estorsione viene poi spartita con i trafficanti.

Questo ormai l’hanno capito tutti in Libia.

Ecco perché la traversata è più né meno che la solita trappola per questi ragazzi e le politiche delle ONG servono da esca, non da soluzione.

 

ALLORA A CHE SERVONO QUESTI SOLDI?

 

I soldi che l’Italia invia a Tripoli servono per tenere in piedi il patto scellerato che vuole le milizie padrone del territorio e dei traffici a cominciare dall’unico che veramente interessa l’Italia: il petrolio.

Il contrabbando illegale del petrolio libico negli ultimi anni ha raggiunto il 40% dell’intera produzione libica. Da qualche parte sarà pur finito. E in qualche modo sarà stato pagato.

Ecco la risposta. Il fondo per l’Africa è la fattura con cui il governo italiano acquisisce il petrolio libico sottobanco dalle milizie.

La migrazione non c’entra per nulla. Non un centesimo di quei soldi finisce nel miglioramento delle condizioni dei migranti. Tanto meno alla Guardia costiera che già si auto-finanzia sulla pelle dei cosiddetti migranti.

Il vero favore che l’Italia fa alle milizie è quello di voltarsi dall’altra parte e non vedere 700.000 lavoratori africani in stato di schiavitù in mano alle milizie.

 

NUMERI CHIARI CONTRO NARRAZIONI FIABESCHE

 

Inutile pertanto prendersela con i centri di detenzione. Sì, ci sono anche quelli. Ma “ospitano“ 3.500 di 700.000 presenze in Libia.

Inoltre dai centri di detenzione si transita soltanto e nel giro di poche settimane di solito si esce. Perché non servono per detenere i “migranti”. Servono per spolparli attraverso la tortura. E quando le famiglie a casa, dopo essersi indebitate, inviano i soldi per il riscatto, i ragazzi sono “liberi”.

Liberi di rimettersi sul mercato del lavoro in Libia a costo pressoché zero. Schiavitù, appunto.

La retorica delle ONG poi punta a far credere che se non intervenisse la Guardia costiera libica, tutti i “migranti” in Libia raggiungerebbero l’Italia e la salvezza.

Se prendiamo i dati del 2020, su 700.000 presenze in Libia, 5.000 hanno raggiunto l’Italia (con l’aiuto delle ONG), 5.000 sono stati intercettati e riportati in Libia.

Significa che 1/70 di loro ha raggiunto l’Italia e 1/70 di loro è stato riportato in Libia. Significa che 2/70 hanno perlomeno visto l’acqua del mare. Gli altri 68/70, ovvero sia circa 690.000 persone su 700.000 non hanno nemmeno avuto la possibilità di imbarcarsi. Non perché erano detenute. Perché non avevano soldi per pagare la traversata, perché in Libia, da schiavi, non riescono nemmeno a produrre reddito. Chi paga la traversata lo fa con i soldi che la famiglia riesce ancora a spedire.

 

IL BAVAGLIO DELLE ONG SULLA BOCCA DEI LAVORATORI SCHIAVI IN LIBIA 

 

Se esiste un bavaglio, pertanto, è quello che le ONG da 3 anni mettono sulla bocca degli Africani bloccati in Libia. Le loro storie e le loro richieste sono respinte ed escluse dalla loro agenda. Agenda il cui scopo non è salvare le persone, ma fare lobby e assecondare le politiche neoliberiste della UE.

Sappiamo bene quali siano le politiche della UE: non Evacuazione, come chiedono gli Africani neri in Libia. L’UE vuole Redistribuzione. Ossia redistribuire tra i Paesi europei quella minima percentuale di chi riesce ad attraversare. Una soluzione a posteriori. Una vera e propria Selezione Naturale.

E invece i lavoratori e le lavoratrici africane in Libia stanno chiedendo altro.

Stanno chiedendo voli di evacuazione. Verso casa, per chi è stato illuso dalle mafie africane e poi venduto come schiavo in Libia. Verso l’Europa o Paesi terzi per quelle poche migliaia di persone veramente titolate alla protezione internazionale.

Niente di tutto questo. Quelli che le ONG chiamano “migranti”, devono rimanere muti. Diritto di parola per loro solo quando ormai hanno l’acqua alla gola e possono solo dire “salvatemi”. Con questo ricatto hanno falsificato tutta la storia della migrazione dalla Libia negli ultimi 10 anni.

E sono parte dell’ingranaggio di oppressione, le ONG, perché il punto non sono “quali” accordi. Il punto è riconoscere il governo di Tripoli, governo usurpatore in mano a milizie di jihadisti e di mafiosi legati alla Fratellanza Musulmana, ora protetti militarmente dalla Turchia, mentre il popolo libico della Tripolitania chiede di riunificarsi al resto del Paese, già da anni liberato dall’Esercito Nazionale Libico.

Michelangelo Severgnini

Michelangelo Severgnini

Regista indipendente, esperto di Medioriente e Nord Africa, musicista. Ha vissuto per un decennio a Istanbul. Ora dalle sponde siciliane anima il progetto "Exodus" in contatto con centinaia di persone in Libia. Di prossima uscita il film "L'Urlo"

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