Usa, Cina e futuro del sistema dollaro. L'intervista al gen. Mini sui libri di Qiao Liang

Usa, Cina e futuro del sistema dollaro. L'intervista al gen. Mini sui libri di Qiao Liang

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di Claudio Gallo*

 

Qiao Liang è un ex generale maggiore dell'aviazione dell'Esercito Popolare di Liberazione diventato celebre nel 1999 con il libro Guerra senza limiti (LEG Edizioni, 2001) di cui è coautore insieme con il collega Wang Xiangsui. Con gli usuali occhiali ideologici, i media occidentali hanno presentato lo studio come l'annuncio di un nuovo tipo di guerra che la Cina stava progettando contro l'America. Gli autori affrontavano il concetto di conflitto asimmetrico, prefigurando in qualche modo eventi che sarebbero accaduti di lì a poco, come l'attacco dell'11 settembre.

Qualche anno fa, Qiao ha scritto un nuovo libro, L’arco dell’impero, ancora tradotto dalla LEG (Libreria editrice goriziana). E’ la prima edizione in una lingua occidentale ed è stata curata dal generale Fabio Mini, già  capo di stato maggiore del Comando  NATO del Sud Europa  nel 2000-2001 e comandante della Forza internazionale in Kosovo (KFOR) a guida NATO dal 2002 al 2003. Mini aveva introdotto in Italia anche Guerra senza limiti: la sua prefazione italiana è stata tradotta e inclusa nella seconda edizione cinese.

 Il nuovo lavoro di Qiao è uno studio sulla superpotenza americana. Spiega il suo incredibile successo e le possibili ragioni del suo declino. Secondo Qiao, gli Stati Uniti hanno superato la logica imperiale colonialista dell’Impero britannico del XIX secolo adottando un rivoluzionario sistema di dominio economico, che ha raggiunto il suo apice con la fine gli accordi di Bretton Woods del 1971. Il potere del dollaro come moneta universale sostiene il primo impero finanziario della storia. The City Upon a Hill dei Padri Pellegrini, l'immagine dell'eccezionalismo americano amata da Reagan, è, in realtà, la Zecca sulla Collina. Con questa "economia finanziaria coloniale", la ricchezza americana è pagata dal resto del mondo. Qiao scrive che le "guerre senza fine" del Pentagono sono progettate per garantire "non solo che i dollari fluiscano senza intoppi fuori dal paese, ma anche che il capitale in giro per il mondo ritorni negli Stati Uniti". Questo meccanismo ha straordinariamente arricchito l'America a spese del mondo, ma ora potrebbe cominciare a incrinarsi. Abbiamo chiesto al generale Mini di presentarci la concezione di Qiao dell'impero americano e del suo declino.

 

 

Durante una videoconferenza all'inizio dello scorso dicembre, il presidente cinese Xi Jinping e quello russo Vladimir Putin hanno sottolineato l'esigenza "accelerare gli sforzi per la creazione di una struttura finanziaria indipendente per i commerci tra Russia e Cina”. Secondo lei è l'inizio della fine del sistema del dollaro?

 

“Vedo nell’esigenza individuata dai due leader il tentativo concreto di far cessare l’egemonia del dollaro che, come dice Qiao, può segnare l’inizio della fine dell’egemonia economica e geopolitica statunitense. Tuttavia questo non significa che il tentativo riesca o che non induca gli americani a minacciare o attuare ritorsioni non necessariamente di mero carattere commerciale. Per ora, la comune intenzione di Putin e Xi Jinping sembra avere lo scopo di sottrarre al passaggio forzato per il dollaro, che penalizza entrambi, soltanto gli scambi commerciali bilaterali. Cina e Russia contano molto sulle esportazioni e la credibilità delle loro valute non è molto alta. Di fatto, gli scambi cinesi e russi in valute diverse dal dollaro avvengono soltanto per motivi politici. La Cina, nonostante i dazi statunitensi, non ha fretta e punta ad un accordo internazionale che riconosca almeno altre due monete, oltre al dollaro, come riferimento degli scambi: euro e yuan. La Russia si trova in una situazione diversa: si rende conto che ogni tentativo di salvaguardare la propria sovranità e i propri interessi regionali viene contrastato dalle sanzioni americane. E’ penalizzata tre volte: due in campo economico e una in campo politico. In particolare: le sue risorse d’esportazione sono depotenziate nella quantità e nel prezzo (in calo per effetto della contrazione della domanda) e le sue importazioni sono penalizzate dai prezzi (in aumento per effetto della minore offerta) e dai pagamenti in dollari. La terza, e più importante, è la penalizzazione politica: sottostare ai ricatti esterni fa perdere credibilità e influenza. Ormai sono anni che nella parte continentale dell’Europa, la Russia deve subire il tentativo di espansione a Est della Nato. Il distacco dal dollaro per la Russia è diventato una questione di sopravvivenza politica in Europa e nel mondo. Tuttavia la Russia sa bene che questa misura è necessaria ma non sufficiente. L’offensiva Usa-Nato fatta di provocazioni, erosione di territori, destabilizzazione ai confini e sostegno all’eversione interna deve essere affrontata anche sul piano della sicurezza e della potenza militare. Mentre la Cina ritiene di avere tempo e vuole agire sul piano economico e finanziario, la Russia deve e vuole dimostrare di poter opporsi alle provocazioni anche con le armi. Ce n’è abbastanza per far ragionare tutti e in particolare Europa e America. Se non fosse per la debolezza politica interna, la sudditanza nei confronti americani e la delega permanente della propria sicurezza alla Nato, l’Unione Europea potrebbe essere la potenza equilibratrice per tutto l’Occidente e perfino per Russia e Cina; l’euro potrebbe diventare la nuova moneta equivalente per tutte le transazioni nel mondo. Ma quei “se” pesano come macigni”. 

 

Un altro elemento del declino americano individuato da Qiao, è il fatto che la re-industrializzazione, il ritorno delle industrie trasferite all'estero (spesso in Cina) negli ultimi decenni, evocato a cominciare dal presidente Obama, sembra ormai strutturalmente impossibile e non potrà servire a correggere l'enorme surplus del debito commerciale. Se anche l'America sperimenterà nuove riprese saranno "senza lavoro". Innovazione tecnologica e finanza avrebbero raggiunto "il loro limite energetico", di qui in poi non si potrà che scendere. Le sembra un giudizio realistico?

 

“Mi sembra ragionevole soprattutto per il periodo in cui è stato formulato. Oggi forse sarebbe da rivedere, ma non da rigettare completamente. Gli Stati Uniti stanno vivendo una crisi dietro l’altra eppure non frenano né ambizioni né avventurismi. È vero che in larga misura il settore manifatturiero è ormai defunto, ma il dominio informatico e tecnologico è ancora forte e quello finanziario fortissimo. Non so se questi due elementi abbiano raggiunto la loro massima espressione. Anche se iniziasse una discesa non sarebbe affatto ripida e comunque i maggiori danni sarebbero per quella parte del mondo che adesso si trova in una situazione migliore proprio grazie alla spinta tecnologica. Anche il disavanzo commerciale statunitense presenta due aspetti: da un lato favorisce i cinesi e dall’altro induce gli americani a misure di contenimento proprio nei confronti della Cina. Inoltre il disavanzo manifatturiero può essere compensato dall’esportazione di strumenti e tecnologie avanzate e nel settore energetico. Da quando è iniziata la stretta americana sulla Russia e le sue risorse, gli Stati Uniti hanno moltiplicato le esportazioni di gas verso l’Europa. L’osservazione che eventuali riprese economiche saranno “senza lavoro” è giusta per chi pensa al lavoro e all’occupazione come strumenti di crescita e benessere. Quasi tutto il mondo lo pensa, ma gli Stati Uniti fanno eccezione anche in questo. Da tempo hanno abbandonato l’idea di dare lavoro per aumentare la produzione e quindi la ricchezza e non hanno mai detto che questa debba essere meglio distribuita. Anzi, la concentrazione della ricchezza in poche mani ne agevola il controllo e l’utilizzazione. Per questo, da tempo hanno sostituito i benefici del lavoro con quelli dello sfruttamento e della speculazione. Il lavoro per tutti è ormai un ammortizzatore sociale come da noi è la cassa integrazione. Il lavoro è uno strumento per tenere impegnate le masse e i sindacati sono soltanto associazioni di categoria che devono sostenere le imprese, non i lavoratori. Ogni rinnovo di contratto dipende dai profitti dell’impresa e non da quante famiglie vengono mantenute.  A profitti immensi corrispondono cifre da capogiro per i dirigenti e aumenti salariali ridicoli.  A perdite immense o alla bancarotta corrispondono sempre cifre da capogiro per i dirigenti e il lastrico per i salariati. In ogni caso il salario “ridicolo” ottenuto negli Stati Uniti o in Europa è un salario da sogno per i paesi più poveri. La Banca mondiale definisce povertà assoluta la disponibilità effettiva di meno di 1,90 dollari al giorno.  Nel mondo oltre un miliardo di persone si trova in questa condizione di cui oltre 4 milioni negli Stati Uniti. In Cina la povertà assoluta si è azzerata in meno di dieci anni rispetto ai 90 milioni di poveri del 2012 quando fu avviato il programma di completa eradicazione della povertà assoluta. Tuttavia anche in Cina non è il lavoro a riscattare dalla povertà ma il sussidio. In Cina, il reddito pro capite è dieci volte quello del 2000 (da 940 dollari all’anno a 10.410 dollari nel 2019) e poco più della metà della popolazione rientra nella classe di reddito media secondo la classificazione della Banca Mondiale (tra 3650 e 18.250 dollari l’anno). È senz’altro un risultato importante ma è ancora di 1795- 580 dollari al mese al di sotto della povertà americana. È vero che in relazione al costo e al tenore di vita, il reddito cinese vale di più, ma i cinesi che vogliono emulare gli americani, non si soffermano sui dettagli: vogliono uguale ricchezza in termini assoluti e molti di essi ci stanno riuscendo diventando milionari e acquisendo la logica americana del capitale, dello sfruttamento e dell’intolleranza verso la povertà che già ora negli Stati Uniti è diventata una colpa degli individui. L’appello di Qiao alla Cina di non emulare l’impero americano comprende anche questo, ma temo che non sarà ascoltato. Nemo propheta…”.  

 

Una delle cose più sorprendenti del libro dell'analista militare cinese è la tesi che nei fatti gli americani sono più interessati a distruggere l’Europa dell'Euro che non la Cina. Dalla guerra Nato alla Jugoslavia all'indomani della nascita della moneta unica europea nel 1991 fino all'odierno confronto con Mosca in Ucraina, Washington sta perseguendo contemporaneamente l'obiettivo di circondare la Russia (adesso ci mettiamo anche il Kazakistan) insieme a quello di danneggiare l'Ue con l'aiuto degli stessi europei. La prospettiva di un'intesa economica tra Russia ed Europa, naturalmente favorita dalla geopolitica, è così scongiurata. Anche questa è una teoria del complotto?

 

“No, è un teorema dimostrato dai fatti. Di recente, a seguito delle offensive di Trump con i dazi all’Europa, alcuni analisti europei hanno riproposto la tesi che l’UE è sorta per volere degli americani e che, quindi, gli Stati Uniti non possono volerne la distruzione. E’ un falso storico, un maldestro tentativo di rassicurare gli europei nel momento in cui cresce il dubbio sulla lealtà del maggiore alleato. L’idea di appoggiare la formazione di una forma di Unione europea è venuta agli americani quando hanno deciso di avviare il programma di aiuti chiamato Piano Marshall. Non era un progetto politico, ma uno scopo di comodo: avevano bisogno di una controparte unita che gestisse gli aiuti. Se per questo ruolo si fosse offerto San Marino o il Vaticano sarebbe andato bene lo stesso. Durante gli ultimi anni di guerra Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti non volevano soltanto la debellatio tedesca ma ne volevano la distruzione completa. I bombardamenti a tappeto sulle città tedesche avevano molto a che fare con la distruzione totale piuttosto che la neutralizzazione della capacità bellica. Alla fine della guerra Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione sovietica approvarono il piano Morgenthau (dal nome del Segretario al Tesoro Usa) che intendeva far tornare la Germania alla “pastorizia”. Morgenthau già prima dell’ingresso statunitense in guerra aveva predicato la distruzione del popolo tedesco e della sua capacità produttiva e riproduttiva. Nella pratica, la direttiva JCS 1067 dei comandi militari alleati di occupazione applicava, anche se in versione ridotta, le proposte di Morgenthau. Di fatto nell’immediato periodo postbellico le epurazioni, le criminalizzazioni e le spoliazioni del patrimonio industriale tedesco si aggiunsero alle distruzioni belliche.  In quel periodo furono registrati oltre 100.000 suicidi fra la popolazione tedesca e all’inizio del 1947 quattro milioni di soldati tedeschi erano ancora utilizzati per lavori forzati in Gran Bretagna, Francia e Unione sovietica. La prostrazione della Germania impediva però qualsiasi tentativo di risollevare il resto dell’Europa e quindi eliminava la fonte di illimitati guadagni che il dopoguerra doveva portare agli Stati Uniti. 

Il piano Morgenthau fu sostituito dal piano Marshall e la gestione degli aiuti alla ricostruzione divenne la priorità statunitense. Un’apertura diretta alla ricostruzione tedesca sarebbe stata osteggiata sia dalla Gran Bretagna sia dall’Unione sovietica e il timore che l’Urss assumesse il controllo di tutta l’Europa furono quindi i motivi dell’iniziale sostegno all’Unione Europea. Un sostegno che però presto divenne un freno a qualsiasi iniziativa europea che non portasse benefici agli Stati Uniti. I contrasti non sono mai mancati neppure durante la guerra fredda quando il blocco della Nato aveva di fatto trasformato la possibile minaccia sovietica di ritorsione nucleare sugli Stati Uniti, alla certezza di una guerra di devastazione nucleare e convenzionale in Europa. Dopo l’implosione dell’Urss, i contrasti sono aumentati e alla Nato è stato assegnato il doppio compito: espandersi ad oriente e impedire all’Europa di acquisire una capacità di difesa autonoma. L’escamotage adottato dalla Nato è stato il programma di Partnership for peace (Pfp) che offriva ai paesi non Nato la possibilità di cooperazione militare.

Per qualche anno il programma fu seguito con interesse misto a sospetto anche dalla Russia che ebbe perfino una posizione di osservatore presso la Nato. Nel 1999 la Russia aderiva anche alle iniziative di sicurezza delle Nazioni Unite e di “altre organizzazioni regionali”.  Tuttavia con l’ingresso nella Nato di alcuni paesi già parte del Patto di Varsavia, e la promessa ad altri di entrare nell’Unione europea come primo passo verso l’ammissione alla Nato, sono entrati nell’Ue tutti i paesi che si opponevano alla Russia e che di fatto seguivano le direttive statunitensi anti russe anche a scapito degli interessi del resto d’Europa.  Da una decina d’anni gli Stati Uniti impediscono ogni autonomia europea e l’eventualità che l’euro sostituisca il dollaro è plausibile anche se è fortemente contrastata dagli Stati Uniti. Essi la temono più della sostanziale defezione europea dalle avventure americane e della Nato come già dimostrato in Medio Oriente, Nord Africa e Asia centrale. Per questo, non si faranno sfuggire alcuna occasione per costringere l’Europa a tagliare i rapporti sia politici che economici con Russia e Cina. Un corollario di questo teorema niente affatto peregrino è che tali manovre costringono sempre di più la Russia ad armarsi ed armare la Cina, se non altro per spostare il confronto sul piano geo-politico e strategico dove la deterrenza militare può fare molto di più della minaccia economica”.  

 

Ricordando Harold Innis, che però non è mai citato, Qiao sostiene che l'utilizzo di una nuova tecnologia cambia il modo con cui la società percepisce il mondo. Così sarà proprio Internet, la più grande invenzione americana a contribuire alla fine dell'impero. La sua logica de-centralizzata porterà a un mondo multipolare dove la Cina, se riuscirà a sfuggire alla tentazione di imitare l'ultimo impero, potrà avere un ruolo di esempio e guida. Questa fiducia nel progresso tecnologico e nella missione della nazione cinese non rischia di essere un po' ingenua?

 

“Non solo appare ingenua ma esagerata. D’altra parte fin dal primo libro “Guerra senza limiti” Qiao Liang e il suo coautore Wang Xiangsui avevano dimostrato un’ammirazione profonda nei riguardi della potenza e della tecnologia militare degli Stati Uniti. Erano rimasti colpiti dalle capacità militari e logistiche statunitensi nella prima guerra del Golfo (1991) e non erano certo ottimisti rispetto alla strategia cinese del tempo che mirava a “combattere in un ambiente altamente tecnologico in condizioni d’inferiorità tecnologica”.  Nel libro però i due autori attenuavano l’entusiasmo tecnologico individuando i rischi che la guerra condotta con altri mezzi e le “non armi” (come terrorismo e guerra finanziaria) potessero annullare anche il vantaggio tecnologico. Fu questo semplice ragionamento a scatenare la reazione americana che lo interpretò come incitamento cinese alla guerra asimmetrica e al terrorismo di stato. Nel 2015 con il libro di cui discutiamo.

Qiao Liang dimostra ancora la sua ammirazione per la tecnologia e per la capacità statunitense di guerra finanziaria sviluppata attraverso l’egemonia del dollaro. Tuttavia l’eccessivo entusiasmo viene stemperato da alcune considerazioni: 1) nonostante il vantaggio tecnologico e la potenza militare gli Stati Uniti non hanno più vinto una guerra dalla Seconda mondiale in poi, 2) la guerra finanziaria è assistita e consentita soltanto dalla potenza militare 3) i sistemi di internet possono essere chiusi o distrutti con facilità 3) le infrastrutture altamente tecnologizzate sono più sensibili alle minacce interne o esterne al sistema che le utilizza, 4) la corsa tecnologica vede alla pari Cina e Stati Uniti, ma è una parità che per la Cina è un punto d’arrivo mobile, mentre per gli Stati Uniti è un punto di partenza. Quindi, nella sfida tecnologica gli Stati Uniti mantengono l’iniziativa e in quella finanziaria detengono l’egemonia.  Contare sulla tecnologia internet come strumento che da solo può fare implodere l’egemonia è una prova di approccio popolar-democratico che non è affatto adottato né dagli Stati Uniti né dalla Cina o dalla Russia. Tutte e tre le potenze mantengono la capacità di controllo centralizzato sui nodi delle reti e il decentramento avviene soltanto per questioni non strategiche o per operazioni d’influenza ideologica a lunga scadenza. Anche la presunta “missione “cinese nel mondo appartiene al campo della speculazione idealistica o alla retorica occidentale. Di fatto chi la propone pensa in termini occidentali e in particolare nei termini del radicalismo religioso anglosassone. La Cina degli ultimi 50 anni non ha mai rivendicato né agito in nome di una “missione divina”. Se negli ultimi tempi qualche cinese ha parlato di ruolo di guida lo ha fatto dando al termine il significato implicito nella concezione del Partito comunista cinese: “guida” significa farsi carico delle esigenze degli altri e di adottare un sistema virtuoso che possa soddisfare anche gli altri.  Gli “altri” sono tutti i non cinesi con i quali la Cina vuole convivere senza adottare alcuna pratica imperiale. È certamente una visione idealistica.

La Cina non è tutta uguale e non è quello che Qiao Liang vorrebbe. Le divisioni interne sono più forti del senso di unità e non è soltanto un fatto di etnia. La stessa etnia dominante, la Han, è divisa al suo interno. Molti osservatori occidentali sono anche convinti che a causa delle diversità interne la Cina imploderà. Sono cinquant’anni che sento e leggo di questa fantomatica implosione o regionalizzazione o frattura come in varie occasioni è stata chiamata.  Non è ancora accaduto e da trent’anni ad oggi il partito comunista cinese è passato da 53 milioni di iscritti a quasi 90 milioni.  Può sembrare un numero irrisorio rispetto alla popolazione Ma è lo stesso PCC a non essere unito ed è proprio la rappresentanza delle sue varie anime a tenerlo in piedi e non la sua compattezza, come si crede. Si crede in un sistema ferreo e dittatoriale che non esiste né all’interno del partito e meno che mai nei rapporti tra potere centrale e periferico. Quello che è unitario è l’indirizzo politico economico e sociale che esce dal confronto e spesso dallo scontro interno al partito. E anche questo non è necessariamente un dogma e neppure una guida che tutti seguono ciecamente”. 

 

L'Italia, che ospita sul suo territorio armi atomiche americane, ha storicamente una forte dipendenza da Washington. Adesso un fondo americano vuole comprare la rete di Tim, la più importante società di telecomunicazioni del Paese. Sembra un esempio perfetto di quel saccheggio dei gioielli di famiglia che, secondo Qiao, l'impero del dollaro compie ciclicamente a spese del resto del mondo. È così?

 

“Ha ragione nel dire che il dollaro si appropria della ricchezza prodotta dal sudore della gente in cambio di un pezzo di pane. Sostiene che il dollaro non fluttua solo in relazione alla situazione economica o geopolitica, ma segue un modello ciclico che influenza l'economia e la geopolitica. Questa brillante intuizione di Qiao è ora un fenomeno verificato da ricercatori giapponesi e cinesi. Questi studi hanno scoperto che l'indice del dollaro varia verso il basso per trentadue mesi e verso l'alto per un periodo equivalente. Il primo intervallo inizia con grandi quantità di denaro che entrano nel mercato finanziario. Questo provoca un calo dei tassi d'interesse, un maggiore accesso al credito e un aumento della produttività da parte di coloro che nel mondo hanno approfittato della liquidità. Così la ricchezza aumenta, e ci sono significativi "boom economici". Ma questa ricchezza non può essere lasciata nelle mani dei beneficiari. Così inizia l'intervallo in cui il dollaro deve tornare negli Stati Uniti. Il flusso monetario diminuisce, i tassi d'interesse aumentano, i titoli americani diventano redditizi, e nuovi investimenti affluiscono alle imprese statunitensi. Il "ciclo del dollaro" si completa in 65 mesi, durante i quali gli Stati Uniti traggono profitto sia dalle "montagne russe" imposte alla finanza globale sia dalla speculazione basata sul ritorno del capitale.

Ma non dobbiamo farci illusioni, l'appropriazione della ricchezza altrui non è una caratteristica esclusiva del dollaro americano. Le grandi imprese cinesi seguono da vicino o forse hanno già superato le multinazionali statunitensi nell'accaparramento delle risorse e del lavoro altrui. Ma, anche accettando la proposta di Qiao Liang di stabilire un regime globale basato su tre valute di riferimento: dollaro, euro e yuan, il saccheggio economico non sarebbe ridotto o eliminato. Quindi la vera natura del problema non è la moneta, ma chi ne garantisce la convertibilità e la stabilità. Secondo Qiao Liang e molti altri, a fornire queste garanzie per il dollaro è un paese che vive al di sopra delle sue capacità, non permette la concorrenza, esercita l'assolutismo politico. Per mantenere il suo stile di vita, l’America prevarica gli altri e impedisce loro di svilupparsi. Fa la guerra contro tutti, nemici e amici, alleati e avversari. Qiao individua nell'egemonia del dollaro la chiave per smantellare questo potere con i mezzi della finanza e le potenzialità di Internet. Il generale cinese non si dà pace  per come gli Stati Uniti esercitano l’egemonia globale: convincendo il mondo che il pericolo, economico e militare, venga da Russia e Cina e non invece da loro”.

 

*Ex giornalista della Stampa di cui è stato caporedattore Esteri e il corrispondente da Londra. Attualmente collabora con diversi siti stranieri. L'articolo in una forma più corta è stato pubblicato su Strategic Culture

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