Nakba 1948-2021. I palestinesi e la loro lezione di Karama-Dignità al mondo

Nakba 1948-2021. I palestinesi e la loro lezione di Karama-Dignità al mondo

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di Paola Di Lullo

Oggi, nel giorno in cui i palestinesi commemorano il 73° anniversario della Nakba (catastrofe), mi ritrovo a scrivere dell' espulsione e della pulizia etnica allora cominciate, ad opera del neonato stato d'Israele, e mai terminate.

Intanto, un preambolo.

Quella palestinese può essere una causa, giusta, aggiungo io, ma non un conflitto né una guerra.

È la legittima Resistenza, sancita da ben due risoluzioni ONU, 3070 e 3246, di un popolo sotto occupazione che ha il diritto di usare tutti gli strumenti a sua disposizione per liberarsi, inclusa la lotta armata.

Sorrido mestamente quando leggo le dichiarazioni israeliane nonché quelle della nostrana stampa, asservita ad Israele.

Sarebbe poco importante decidere se la Resistenza palestinese abbia lanciato razzi e/o missili in risposta ad ennesimi soprusi israeliani o perché rivendicava i suoi legittimi diritti.

Provo a fare un rapido excursus delle ultime settimane.

Tutto è cominciato con l'ennesimo tentativo di pulizia etnica da parte del democratico stato d'Israele.

Il 2 maggio scorso, la Corte Suprema Israeliana ha ordinato a quattro famiglie palestinesi di abbandonare le loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah. 58 persone sarebbero state sfollate e divenute dei senzatetto per dare più spazio ai coloni ebrei.

Sheikh Jarrah è un quartiere a nord della mura di Gerusalemme Est, ad alta densità abitativa palestinese e gli sfratti non sono altro che il tentativo di continuare e portare al terminare la giudaizzazione di Gerusalemme Est.

Gli abitanti sono giustamente insorti, rivendicando i loro diritti. I video provenienti da Sheikh Jarrah hanno mostrato il modo in cui l'esercito israeliano ha posto fine, o meglio, ha cercato di porre fine, a queste proteste.

Varrebbe qui la pena di menzionare un'altra risoluzione ONU, la 2334, in cui il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite chiedeva ad Israele "di porre fine alla sua politica di insediamenti nei territori palestinesi del 1967, inclusa Gerusalemme Est", ribadendo che "non riconoscerà alcuna modifica dei confini del 1967, se non quelle concordate dalle parti nei negoziati".

All'inizio del mese di Ramadan, Israele aveva chiuso la porta di Damasco, uno degli accessi alla città vecchia ed all'Al Salsa Compound. Anche questa mossa aveva suscitato l'ira dei palestinesi, che si erano visti negare l'ingresso ai loro luoghi di culto.

Nel frattempo, l'organizzazione di estrema destra Lehava, marciava per le strade di Gerusalemme con cartelli con lo slogan "morte agli arabi".

Il 25 aprile scorso, finalmente, aveva rimosso le barricate, concedendo ad i palestinesi di recarsi a pregare in Al Aqsa.

Il 9 maggio scorso, quando la tensione era già altissima, veniva consentita la manifestazione del Jerusalem day, il giorno in cui gli israeliani festeggiano l'occupazione di Gerusalemme del 1967.

Un video, diffuso in rete, mostra gli israeliani festeggiare dinanzi al muro del pianto, con tanto di bandiere con la stella di David, mentre dentro l'Al Aqsa Compound era in corso l'ennesimo, brutale attacco dell'esercito israeliano contro fedeli in preghiera,  e la moschea, luogo sacro, veniva profanata e danneggiata. Casualità, leggerezza,? Può darsi. Ma il gesto, ha vagamente ricordato una famosa "passeggiata" che diede l'avvio alla seconda Intifada.

Purtroppo per Israele, bombardare Gaza fa poco rumore, ma toccare Gerusalemme è come buttare benzina sul fuoco.

Il resto è storia più o meno recente.

Le incursioni e la profanazione di Al Aqsa sono continuate finché, l'11 maggio scorso,

Abu Obeidah, portavoce delle Brigate Qassam, Hamas, parlando in nome di tutti i leader della Resistenza, aveva dichiarato che, se entro le 18,00 dello stesso giorno, l'esercito israeliano non si fosse ritirato da Gerusalemme e da Sheikh Jarrah, da Gaza sarebbero partiti razzi su Gerusalemme.

In effetti, sette razzi raggiungevano Gerusalemme ed Askelon, tranne uno, intercettato dall'Iron Dome.

La reazione dell'IOF non si era fatta attendere.

In un bombardamento su Beit Hanoun, nord della Striscia, un drone israeliano aveva preso di mira una motocicletta (mi è tornato in mente che l'operazione Pillar of Defense cominciò nello stesso modo) vicino alla moschea di al Taqwa, uccidendo nove palestinesi, tra cui tre bambini che camminavano lì intorno.

Il portavoce dell'esercito israeliano faceva sapere che i bombardamenti sarebbero stati duri e sarebbero durati per giorni. È stato di parola. I bombardamenti sono stati a tappeto. Ma di parola è stato anche Abu Obeida, visto che le Brigate Qassam e le Brigate al Quds sono riuscite a fare arrivare centinaia di razzi e missili, non solo negli insediamenti illegali a nord della Striscia, ma anche a Tel Aviv, Gerusalemme, Eilat.

Da quel momento, c'è stata la cosiddetta escalation, con pesanti bombardamenti israeliani su molte strutture civili, case, torri, attività commerciali, scuole statali e private, incluse quelle dell'UNRWA, sistema idrico e di desalinizzazione dell'acqua, gli uffici dell'Associated Press e di Al Jazeera, e la continua risposta dei bracci armati di tutte le fazioni della Resistenza in Gaza.

Pur volendo ammettere, ma non concedere, una risposta israeliana (leggi "aggressione premeditata") contro la Striscia, gli obbiettivi possono essere strutture come l'Al-Salah Charitable Society for Orphan Care in Deir Al-Balah?

O una casa, bombardata la scorsa notte, in Shati camp, dove sono stati assassinati 10 civili, di cui due donne ed otto bambini?

Unico sopravvissuto, un neonato di sei mesi. Se tra vent'anni, poco più poco meno, il suo paese non dovesse essere libero e lui dovesse diventare un membro della Resistenza armata, lo chiamereste ancora terrorista?

Si possono definire "effetti collaterali" bombardamenti mirati su strutture civili?

E che gli israeliani sapessero essere civili lo dimostra il solito razzo di avvertimento lanciato pochi minuti prima del bombardamento. Non credo userebbero simile riguardo a strutture di Hamas, tutt'altro.

I palestinesi seguono e rispettano il diritto internazionale, si può affermare che Israele si comporti allo stesso modo?

In tutta buona fede, no. Israele ha fatto dello spregio del diritto internazionale la sua quotidiana condotta, Israele continua, impunito, a commettere crimini di guerra con il placet di USA, occidente e mondo arabo.

Restano chiusi il valico di Erez, attraversamento pedonale, e quello di Jerem Shalom, l'unico dal quale entrano generi di prima necessità e medicinali nella Striscia.

Ad ora i martiri palestinesi sono 141, inclusi 40 minori e 21 donne, ed oltre 950 i feriti.

10.000 cittadini sfollati, oltre 500 unità abitative parzialmente o totalmente distrutte, 2100 con danni da moderati a lievi.

Danni ingenti a 23 sedi di media, associazioni ed altri uffici. 58 sedi governative e 23 scuole e cliniche di assistenza sanitaria di base seriamente danneggiate.

I morti israeliani sono 8, tra cui 6 civili, incluso un bambino, un soldato dell'IOF ed un cittadino indiano.

Li vogliamo chiamare ancora scontri, conflitto, guerra? O è forse giunto il momento di chiamarla aggressione, occupazione, apartheid, pulizia etnica?

L'unica nota "positiva" è che, Gerusalemme prima, Gaza dopo, hanno riunito i palestinesi come mai prima. Come nessun partito politico. Si sono riuniti spontaneamente, manifestando in Cisgiordania come nei territori occupati del 1948.

Che sia Terza Intifada, è presto per dirlo.

Che la Resistenza continui o, vista la sproporzione delle forze in campo, si arrivi ad un cessate il fuoco, i palestinesi hanno ancora insegnato ad un mondo distratto ed annoiato, il significato profondo della parola Karama... dignità.

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