Mar cinese meridionale, Pompeo rende meno impossibile la guerra tra Usa e Cina

Mar cinese meridionale, Pompeo rende meno impossibile la guerra tra Usa e Cina

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di Piccole Note


L’impossibile guerra tra Cina e Stati Uniti diventa meno impossibile dopo le dichiarazioni di Mike Pompeo di ieri. Premettendo che “Il mondo non permetterà a Pechino di trattare il Mar Cinese Meridionale come il suo impero marittimo”, il Segretario di Stato americano ha dichiarato che “le pretese di Pechino sulle risorse offshore della maggior parte del Mar Cinese Meridionale sono completamente illegali, così come il bullismo che usa per controllarle”.
 


Le bombe di Pompeo

 

Parole che, come scrive Tom Rogan sul Washington Examiner, fondano “una base legale per l’uso della forza militare contro la Cina in quelle acque”.


Dopo aver negato le pretese dalla Cina sul Mar Cinese Meridionale, Pompeo ha dichiarato che quei diritti appartengono invece ai Paesi che da tempo si contendono con Pechino quelle acque (cioè Taiwan, Vietnam, Malesia, Filippine, Brunei e Indonesia).


E ha concluso: “L’America si schiera con i nostri alleati e partner del Sud-Est asiatico nella protezione dei loro diritti sovrani”. Con queste parole, commenta Rogan, “l’amministrazione Trump ha stabilito dei principi che legittimano e saranno causa di un futuro utilizzo della forza militare” a fianco dei Paesi suddetti.


Un mare di ricchezze


Nel Mar Cinese Meridionale si concentra il “12% della pesca globale di pesce”, attività che sfama “decine di milioni di persone nella regione”, scrive il South China morning Post.


Ma a far gola è sopratutto il suo fondale, che cela “11 miliardi di barili di petrolio” e “190 trilioni di metri cubi di gas naturale”. Peraltro in queste acque si concentra gran parte del commercio marittimo globale.


Contesa annosa quella sul Mar Cinese Meridionale, iniziata ben prima dell’avvento del comunismo nel Paese, dato che a avocare la sovranità di Pechino su quelle acque fu il Kuomintang, con pretese in parte ridimensionate da Mao.


Ma a infiammarla è stato il nuovo attivismo di Pechino, che ha anche dichiarato quel tratto di mare area di “interesse fondamentale”, da cui anche la sua parziale militarizzazione per impedire minacce ravvicinate al suo territorio nazionale.

Salta intesa?


Le parole di Pompeo riaccendono le polveri delle controversie tra Pechino e i Paesi della regione, che pure dal 2013 hanno iniziato un dialogo per stabilire un Codice di condotta comune (Coc) che regoli le attività e risolva le contese relative a quel mare.


Dialogo che ha portato nel 2018 alla stesura di un primo testo di intesa, ora in seconda lettura (l’ultimo incontro ha avuto luogo il 1° luglio scorso), che secondo Pechino dovrebbe portare presto a una terza e finale stesura, cioè a un accordo definitivo.


Da qui le proteste di Pechino per l’indebita ingerenza di Pompeo, accusato di  aver “deliberatamente distorto i fatti” nel tentativo “di seminare discordia tra la Cina e gli altri paesi” interessati.


In effetti, dopo le parole di Pompeo, l’intesa sul Coc si allontana. Ma, sopratutto, come scrive Rogan, si fa più plausibile un confronto militare tra Pechino e Washington.


Aria di guerra


Di interesse quanto spiega Zhuang Guotu, presidente del Southeast Asian Studies Center, secondo il quale gli Usa sanno che la guerra commerciale contro il Dragone “non riuscirà a mettere sotto pressione la Cina in breve tempo”, mentre “la carta migliore” per contenerla nel breve periodo è quella di usare le contese del Mar Cinese Meridionale.


Vero, anche se le parole di Pompeo sono giunte in contemporanea con la rinuncia di Londra al 5G cinese, una grande vittoria dell’amministrazione Trump che ha così piegato il riluttante alleato britannico alla sua linea.


Una scelta anche simbolica quella di Londra, dato che porta a compimento la direttrice anti-cinese perseguita su Hong Kong, che la vede allineata con Washington nel sostenerne le pulsioni secessioniste (sempre di ieri l’ennesima sfida a Pechino dei secessionisti, che hanno tenuto elezioni non autorizzate, suscitandone le ire).


La Cina non è disposta a cedere, né è l’Iraq, che Usa e Gran Bretagna hanno incenerito facilmente. Così Song Zhongping, analista militare, al Global Times: Pechino “deve prepararsi per possibili scontri militari innescati dagli Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale o nello stretto di Taiwan”.


Rincara Zuang: Il Mar Cinese Meridionale è “ben alla portata” dell’esercito cinese,, che può valersi di “efficaci armi strategiche, costituite da missili balistici intercontinentali di ultima generazione, che possono coprire completamente l’intera regione”.


Nubi sempre più fitte sull’area e sul mondo. Difficile si diradino prima delle elezioni Usa di novembre.

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