Le nuove norme della UE sulla pubblicità politica: la libertà di espressione è in pericolo?

Le nuove norme della UE sulla pubblicità politica: la libertà di espressione è in pericolo?

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di Paolo Arigotti

Come scriveva lo scorso 22 febbraio Leslie Miller, vicepresidente degli affari governativi e delle politiche pubbliche per YouTube: “Un video di persone che esprimono le proprie opinioni politiche potrebbe essere regolamentato come annuncio politico, anche se non hanno ricevuto alcun compenso o sponsorizzazione.” La manager della più nota piattaforma di video sul web si riferiva alla bozza del nuovo regolamento dell’Unione Europea, che dovrebbe disciplinare la materia degli annunci politici (European Parliament and of the Council on the transparency and targeting of political advertising, che si innesta nel cosiddetto European Democracy Action Plan, un insieme di proposte formulate, a partire dal 2020, dalla Commissione UE per la difesa e la promozione dei valori e i principi democratici del continente) .

Come riporta il notiziario della USPI (Unione Stampa Periodica Italiana), la vicepresidente della Commissione europea, Vera Jourová, presentando la proposta di regolamento, aveva dichiarato che: “La pubblicità digitale per scopi politici sta diventando una corsa incontrollata di metodi sporchi e opachi”, aggiungendo che “Le nuove tecnologie dovrebbero essere strumenti di emancipazione, non di manipolazione. Questa ambiziosa proposta porterà un livello di trasparenza senza precedenti alle campagne politiche e limiterà le tecniche ambigue di targeting” ; non venivano esclusi, tra i rischi, quello delle ingerenze straniere . Se come ricorda la stessa Miller, in astratto la finalità di salvaguardare la credibilità e fiducia intorno alla comunicazione politica on line (web o social) è pienamente condivisibile, per esempio prevedendone la chiara identificazione, informazioni trasparenti su costi e soggetti finanziatori ed escludendo il ricorso a dati sensibili per la profilazione degli utenti senza il loro consenso, il pericolo scaturirebbe dalle eventuali strumentalizzazioni alle quali una normativa troppo generica, specie sulla definizione di “annuncio politico”, potrebbe prestarsi, alla luce delle ultime novità sul testo in discussione.

Senza entrare nel merito delle complesse procedure previste dai trattati per l’adozione degli atti normativi della UE – adottati su proposta della Commissione, devono passare al vaglio del Consiglio e del Parlamento – il concetto è che nel momento nel quale si allargasse troppo - o peggio, si rendesse del tutto arbitrario e/o discrezionale - il concetto di contenuto politico, pure quando gli stessi non si inseriscano in servizi a pagamento (come gli annunci pubblicitari o le sponsorizzazioni), si arriverebbe ad includervi – come notava la stessa Miller – qualunque conversazione e/o video (parlando di YouTube) che investa questioni di natura politica: il che è come dire di tutto di più! In pratica, qualunque contenuto (o quasi) rischierebbe di entrare nello spettro di applicazione delle nuove disposizioni, ragion per cui l’auspicio espresso dalla manager della piattaforma è che ad esserne interessati dovrebbero essere unicamente i contenuti a pagamento, escludendo ogni altro tipo di video pubblicato. Solo per fare un esempio, la Miller cita il caso degli annunci diramati per rinviare a uno o più video che trattino di un certo argomento: nel momento in cui questo ultimo fosse classificato come “politico” potrebbero scattare le conseguenze previste a fronte delle presunte violazioni: dalla rimozione del contenuto, sino all’erogazione di pesanti sanzioni pecuniarie.

E tutto questo senza considerare che il semplice timore di incorrere in “oscuramenti” e/o sanzioni potrebbe scoraggiare – una sorta di “autocensura preventiva” – non solo scoraggiando nuove iniziative, ma anche provocando danni rilevanti tanto ai canali già avviati, che a quelli di recente apertura, alla costante (e legittima) ricerca di un ampliamento del pubblico di riferimento, visto e considerato che le stesse piattaforme (sempre nella logica della “censura preventiva”) potrebbero escludere e/o rimuovere eventuali contenuti nel timore di essere sanzionate. Il fatto che le limitazioni in questione possano investire solo periodi temporali limitati, quali quelli coincidenti con gli appuntamenti elettorali, non può essere rassicurante: nel 2024 si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo - e nelle intenzioni dell’Esecutivo comunitario le nuove regole dovrebbero essere già in vigore per combattere la (presunta) disinformazione – ma va tenuto presente che la normativa, previo recepimento da parte dei singoli stati, è destinata a regolare qualunque procedura elettorale: europea, nazionale, locale.

E non parliamo di cosa da poco, se consideriamo che nel 2021 è stato calcolato che ogni giorno, solo su YouTube , vengono pubblicate qualcosa come 300 ore di video al minuto, corrispondenti a 432mila ore al giorno, vale a dire più di 157 milioni all’anno.

Le preoccupazioni sulla bozza non sono state espresse solo dalla piattaforma di YouTube, specie dopo alcune modifiche al testo originario - formulate lo scorso dicembre dal Consiglio dell’Unione Europea , in vista del passaggio del testo al Parlamento – che ampliano notevolmente, come accennavamo, il concetto stesso di “contenuto politico”. In particolare, è stato modificato l’art. 12, che imporrebbe restrizioni per qualsiasi tipo di contenuto in grado di influenzare una procedura elettorale, a prescindere dal fatto che trattasi di servizi o contenuti a pagamento, con una particolare attenzione al cosiddetto micro-targeting, intesa come un’azione finalizzata a profilare i dati dei potenziali elettori per identificare le opinioni politiche . Il problema, si badi bene, non sono gli annunci politici tout court, riguardo ai quali – come dicevamo – si può condividere una regolazione che garantisca trasparenza, chiarezza e rispetto della privacy. Il problema risiede in una definizione tanto ampia che rischia di coinvolgere qualunque dibattito su questioni astrattamente politiche (economia, immigrazione, energia, LGBT, solo per fare qualche esempio “all’ordine del giorno”).

Diverse ONG, guidate dalla European Partnership for Democracy , hanno indirizzato lo scorso 28 ottobre una nota a tutti i ministri responsabili per le politiche europee, paventando rischi per la democrazia e i diritti fondamentali dei cittadini della UE. L’allarme sembra essere stato recepito da diversi eurodeputati, che hanno già presentato emendamenti per ristabilire un chiaro collegamento a un servizio di tipo pubblicitario, di modo tale da evitare il rischio che messaggi, contenuti e/o dibattiti possano ricadere nella “tagliola” elettorale. In conclusione, resta solo il ricorso al buon vecchio buon senso, evitando che meccanismi di “over regulation” che possano mettere in discussione quei valori, assolutamente condivisi e condivisibili, della libertà di parola ed espressione, che in un mondo come quello contemporaneo vede nel web (e nei social) uno degli strumenti principali: in altre parole, nulla da obiettare circa una regolazione chiara e trasparente della pubblicità elettorale, ma rispondiamo con un secco “NO” a qualunque fuga in avanti.

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