«La lotta per difendere gli alberi e la foresta è prima di tutto una lotta contro l'imperialismo», l'ambientalismo di Thomas Sankara

«La lotta per difendere gli alberi e la foresta è prima di tutto una lotta contro l'imperialismo», l'ambientalismo di Thomas Sankara

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di Fabrizio Verde
 

Il movimento internazionale di protesta per l’ambiente, contro i cambiamenti climatici e affinché i governi si muovano in una direzione ‘green’, sulla scia delle proteste avviate dalla giovane attivista svedese Greta Thunberg, ha ormai raggiunto dimensioni globali. Tanti giovani hanno preso coscienza di quanto l’ambiente sia fondamentale per la vita della specie umana sul pianeta e hanno deciso di mobilitarsi in prima persona. 

 

Questo è sicuramente un aspetto positivo. Manca a questo movimento la consapevolezza che le loro giuste battaglie devono essere indirizzate contro il sistema capitalista e imperialista che ha portato il pianeta in tale situazione. Non è certo stato il fato o un destino cinico e baro. Il livello globale di inquinamento ha dei colpevoli ben precisi. Dunque, quella da condurre non è una semplice e generica battaglia per difendere l’ambiente. Ma si tratta di una lotta contro un nemico ben preciso. 

 

Un aspetto che aveva ben chiaro un leader africano come Thomas Sankara. Come testimoniano queste sue parole pronunciate a Parigi, il 5 febbraio del 1986, in occasione della prima conferenza internazionale sull’albero e la foresta. 

 

«Questa lotta per difendere gli alberi e la foresta è prima di tutto una lotta contro l'imperialismo. Perché l’imperialismo è il piromane delle nostre foreste e delle nostre savane», denunciava Sankara. 

 

«La mia patria, il mio Burkina Faso è senza dubbio uno dei pochi paesi al mondo che ha il diritto di definirsi un concentrato di tutte le calamità naturali di cui il genere umano soffre tuttora, alla fine di questo ventesimo secolo.

Otto milioni di burkinabé hanno interiorizzato questa realtà in 23 terribili anni. Hanno visto morire le madri, i padri, i figli e le figlie, decimati da fame, carestia, malattie e ignoranza. Con gli occhi pieni di lacrime hanno guardato prosciugarsi stagni e fiumi. Dal 1973 hanno visto il loro ambiente deteriorarsi, gli alberi morire e il deserto invaderli a passi da gigante. Secondo le stime, ogni anno il deserto avanza nel Sahel di 7 chilometri.

(…) Signore e Signori, siamo qui nella speranza che vi impegniate in una lotta dalla quale non saremo certo assenti, noi che siamo sottoposti ad un attacco quotidiano e crediamo che il miracolo dell’inverdimento possa nascere dal coraggio di dire le cose come stanno. Sono venuto per unirmi a voi per deplorare i rigori della natura. Sono venuto anche per denunciare quegli uomini che con il loro egoismo sono la causa della sfortuna del prossimo. Il colonialismo ha saccheggiato le nostre foreste senza nemmeno lontanamente pensare a lasciarle o a ripristinarle per il nostro domani.

Continua impunita nel mondo la distruzione della biosfera con attacchi selvaggi e assassini alla terra e all'aria. E non lo diremo mai abbastanza fino a che punto spargano morte tutti questi veicoli che vomitano fumi. Coloro che hanno i mezzi tecnologici per trovare i colpevoli non hanno interesse a farlo, e coloro che hanno quest'interesse mancano dei necessari mezzi tecnologici. Dalla loro hanno solo la propria intuizione e la propria ferma convinzione. Non siamo contro il progresso, ma vogliamo che il progresso non sia condotto in modo sregolato e nella criminale dimenticanza dei diritti altrui. Vogliamo affermare che la lotta contro l'avanzata del deserto è una lotta per la ricerca di un equilibrio fra esseri umani, natura e società. Come tale, è prima di tutto una battaglia politica, il cui esito non può essere lasciato al destino.

La creazione in Burkina di un Ministero dell'acqua, collegato a quello dell'ambiente e del turismo, è segno della nostra volontà di porre chiaramente sul tavolo i problemi, per trovarne soluzioni.

(…)Ecco perché il Burkina ha proposto e continua a proporre che almeno l'1% delle somme colossali destinate alla ricerca di forme di vita su altri pianeti sia destinato a finanziare la lotta per salvare gli alberi e la vita. Non abbandoniamo la speranza che il dialogo con i "marziani" possa farci riconquistare l'Eden; ma riteniamo nel frattempo, come abitanti della terra, di avere il diritto di rifiutare un'alternativa limitata alla sola scelta fra inferno e purgatorio.

Così formulata, la nostra lotta in difesa degli alberi e delle foreste è in primo luogo una lotta popolare e democratica. Poiché lo sterile e costoso agitarsi di un manipolo di ingegneri ed esperti forestali non risolverà nulla! Né le coscienze commosse di una quantità di forum ed istituzioni, per quanto sinceri e lodevoli possano essere, rinverdiranno il Sahel, se non abbiamo fondi per scavare pozzi di acqua potabile profondi cento metri, mentre c'è tutto il denaro necessario a scavare pozzi di petrolio profondi 3.000 metri! Come diceva Karl Marx, chi vive in un palazzo non pensa alle stesse cose, né allo stesso modo, di chi vive in una baracca. Questa lotta per difendere gli alberi e la foresta è prima di tutto una lotta contro l'imperialismo. Perché l’imperialismo è il piromane delle nostre foreste e delle nostre savane.

(…)Sì, il problema della foresta e degli alberi è esclusivamente questione di equilibrio e armonia tra individui, società e natura. È una scommessa possibile; non ci tiriamo indietro di fronte all'enormità del compito e non sviamo dalla sofferenza degli altri perché la desertificazione non ha più frontiere».

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