France insoumise presenta un progetto di legge per l’uscita della Francia dalla NATO

France insoumise presenta un progetto di legge per l’uscita della Francia dalla NATO

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di Andrea Mencarelli - Contropiano

Ogni anno, i gruppi parlamentari dell’Assemblée Nationale hanno un giorno in cui i loro progetti di legge vengono presentati e discussi in sessione ordinaria; si tratta della cosiddetta nicchia parlamentare”.

In questa sede, il gruppo de La France insoumise (LFI), guidato dalla sua presidentessa Mathilde Panot, presenterà il 13 gennaio i suoi nove disegni di legge già esaminati il 4 e 5 gennaio 2022 nelle rispettive commissioni parlamentari.

I nove progetti di legge proposti da (LFI) riguardano: il ripristino dello Stato di diritto tramite l’abrogazione dei regimi d’eccezione creati durante la crisi sanitaria; l’uscita della Francia dalla NATO; la nazionalizzazione delle società concessionarie di autostrade; l’introduzione del diritto di revoca dei rappresentanti eletti; l’instaurazione del controllo dei prezzi; il divieto di utilizzo del glifosato; la riabilitazione dei “fucilati per esempio” durante la Prima Guerra mondiale [si tratta in gran parte di soldati giustiziati senza pronunciamento di un tribunale, ndr]; la legalizzazione della cannabis; il riconoscimento dell’endometriosi come malattia a lungo termine.

Il deputato Bastien Lachaud presenterà la “Proposta di risoluzione che chiede al governo francese di ritirare la Francia dall’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico”, di cui riportiamo in calce la traduzione integrale.

Criticando l’estensione permanente dei campi d’azione della NATO negli ultimi trent’anni (ex-Yugoslavia, Afghanistan, Libia) e i suoi risultati nefasti per la pace e la stabilità di intere regioni, la proposta di risoluzione precisa il peso strategico ed economico degli Stati Uniti all’interno dell’Alleanza.

Una tendenza che l’amministrazione BIden ha confermato anche attraverso la firma, a fine 2021, del National Defense Authorization Act da circa 770 miliardi di dollari – 24 miliardi in più di quanto aveva richiesto – con un aumento di spesa in quasi tutti i settori dell’esercito, compresi nuovi finanziamenti per “contrastare l’espansione militare della Cina”, iniziative per “rafforzare la difesa dell’Ucraina” e per l’acquisto di aerei avanzati, navi e hardware high-tech.

Proprio nella proposta di risoluzione de La France insoumise, si denuncia la strumentalizzazione da parte degli Stati Uniti della NATO contro il “nemico cinese”, per tentare di rispondere attraverso l’escalation della guerra (economica, ibrida, guerreggiata) al declino dell’egemonia USA nel mondo.

Ma, come sottolineato dal deputato Lachaud, “la Francia non condivide né gli interessi strategici né la visione del mondo degli Stati Uniti e non ha interesse a unirsi a un ‘blocco’ guerrafondaio contro la Cina e la Russia”.

La convivenza pacifica dei popoli, basata su nuovi paradigmi di solidarietà e complementarietà, non può realizzarsi se non in una configurazione radicalmente diversa da quella attuale, sganciata dagli interessi imperialisti di USA e UE e dall’intrinseca logica guerrafondaia della NATO.

*

Questa proposta di risoluzione mette in discussione l’interesse della Francia ad essere membro dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico (NATO).

L’unica alleanza militare integrata nel mondo, la NATO, la cui fondazione nel 1949 portò a quella del Patto di Varsavia nel 1955, era destinata a scomparire alla fine della Guerra fredda.

Invece, negli ultimi trent’anni ha costantemente cercato di giustificare la sua esistenza, a rischio di esacerbare le tensioni. Vertice dopo vertice, l’estensione permanente dei suoi campi d’azione ha portato la NATO a intervenire, per esempio, nei Balcani, in Afghanistan e ancora in Libia.

Nonostante i risultati disastrosi di questa deriva, che ha favorito in particolare le condizioni per l’emergere di gruppi armati potenzialmente terroristici, la NATO continua a sostenere di essere “un’alleanza difensiva, che non rappresenta una minaccia per nessun paese” e che “garantisce la libertà di un miliardo di persone”.

In realtà, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), la spesa militare combinata di tutti i membri della NATO nel 2019 è stata di 1.035 miliardi di dollari (895 miliardi di euro) – di cui gli Stati Uniti hanno speso 731 miliardi di dollari (632 miliardi di euro), più della metà della spesa militare mondiale.

E a questi stessi membri viene regolarmente ordinato di dedicare almeno il 2% del loro PIL al bilancio militare. Questo aumento di potenza mira in particolare, secondo la dottrina dell’Alleanza per il 2030, ad “adattarsi” alla “sfida sistemica” che la Cina rappresenterebbe.

Tuttavia, con una spesa militare più di tre volte inferiore a quella degli Stati Uniti, una base militare permanente all’estero, contro le centinaia degli Stati Uniti, 2 portaerei, che saranno presto 3, contro 11, 350 testate nucleari, contro 1.600 (280 da parte francese), la Cina ha i mezzi della sua difesa, ma non è una minaccia militare per la Francia.

Il nostro paese non ha quindi alcun interesse a lasciarsi trascinare, direttamente o a poco a poco, in un conflitto militare con la Cina dalle conseguenze incommensurabili.

Oltre al suo carattere guerrafondaio, la NATO riunisce membri di cui la Francia non condivide gli interessi strategici e la visione del mondo.

È il caso della Turchia, con la quale gli episodi di tensione si sono moltiplicati negli ultimi anni. Ed è naturalmente il caso degli Stati Uniti, che decidono la maggior parte degli orientamenti della NATO e giocano abilmente sulle tensioni all’interno dell’alleanza per impedire l’emergere di orientamenti collettivi che divergono dai suoi.

Come si può ancora credere, dopo l’affare dell’alleanza di AUKUS contro la Cina e la rottura del contratto di consegna di sottomarini da parte dell’Australia a beneficio degli Stati Uniti, alla lealtà di questi ultimi verso la Francia?

Durante la sua campagna e dall’inizio del suo mandato, il presidente americano Joe Biden ha insistito sul ritorno della “leadership statunitense nel mondo”, a capo di una presunta “alleanza delle democrazie”. Ma per l’amministrazione statunitense, il “multilateralismo” è solo uno strumento di potere nazionale.

L’attuale presidente, come i suoi predecessori, non ha intenzione di tornare a una concezione puramente strumentale delle relazioni con gli alleati degli Stati Uniti. Al contrario, il nostro paese ha tutto l’interesse a salvare e rafforzare il sistema di sicurezza collettiva dell’ONU, che include una concezione non strumentale del diritto internazionale.

Questa osservazione porta infine a mettere in discussione l’argomento della complementarità della NATO con l’obiettivo dell’autonomia strategica europea, spesso addotto a favore della presenza della Francia nella NATO.

Senza nemmeno affrontare la questione della pertinenza e della possibilità di concretizzare un’autonomia strategica europea, si può solo notare l’incompatibilità tra questo concetto seriamente definito e l’adesione alla NATO.

Già negli anni ‘90, gli Stati Uniti hanno applicato la loro volontà di contrastare “l’emergere di accordi di sicurezza intra-europei che avrebbero minato la NATO, e soprattutto la struttura di comando integrata dell’alleanza” (ad esempio nel Defense Planning Guideline 1994-1999).

Sullo sfondo dell’esagerazione della minaccia russa per ottenere l’accettazione della presunta “protezione” degli Stati Uniti, questo orientamento è inciso nel marmo dei trattati europei e regolarmente richiamato. Questo include paesi europei come la Germania, il cui ministro della difesa ha ripetutamente dichiarato, di fronte alle proposte sull’autonomia strategica europea, che “la NATO rimane e rimarrà l’ancora della sicurezza europea”.

In questo contesto, il nostro paese ha tutto l’interesse a liberarsi dalla camicia di forza della NATO e a parlare con la propria voce. Non è solo possibile, ma necessario, lasciare la NATO per riconquistare una totale indipendenza militare e diplomatica.

L’argomento secondo cui la Francia, in quanto “potenza media”, ha un’influenza irrisoria e non è in grado di difendere i suoi interessi non regge all’analisi. Quando, nel 1966, il generale De Gaulle annunciò il ritiro della Francia dal comando integrato della NATO, tra l’altro per evitare che fosse trascinata in qualsiasi conflitto in cui i suoi interessi non fossero in gioco, gli argomenti contrari erano gli stessi di oggi.

Secondo la maggior parte dei commentatori e degli attori politici, la Francia era destinata ad essere indebolita da questa scelta. La decisione del generale de Gaulle è stata talvolta assimilata a una forma di “tradimento” nei confronti degli alleati e dell’Occidente.

Tuttavia, è stato osservato il contrario. La diplomazia non allineata che risultò da questa decisione permise alla Francia di veder crescere la sua influenza. Il ritorno nel 2009 al comando integrato, alla cosiddetta “famiglia occidentale”, come ci disse l’allora presidente, fu un errore.

Prevedibilmente, la “scommessa” presa all’epoca si è rivelata perdente: non c’è alcuna prova seria per sostenere l’argomento che il ritorno della Francia al comando integrato della NATO avrebbe aumentato la sua influenza sulla direzione di un’alleanza dove nulla può essere fatto che non sia nell’interesse nazionale percepito degli Stati Uniti.

La Francia dispone, attualmente, di gran parte dei mezzi della sua difesa, a condizione che questo non sia confuso con una moltiplicazione delle operazioni esterne senza direzione strategica. E la sua inclusione in un’alleanza militare permanente va contro le dinamiche del mondo attuale, in cui la logica del blocco ha ancora meno senso che durante il periodo bipolare della Guerra fredda.

Le alleanze sono sempre più fluide, i contesti regionali sempre più mutevoli e le sfide comuni, come il cambiamento climatico, sempre più pressanti. In questo contesto, la Francia ha un vantaggio decisivo, che è la sua presenza su tutti gli oceani.

La sua economia, la sua sovranità militare e la sua capacità di integrare coalizioni sotto mandato ONU, la sua geografia e la sua influenza scientifica e culturale ne fanno una potenza mondiale. Può fare molto di più di quanto dicono quelli che lo minimizzano per allinearlo meglio.

Ha la predisposizione territoriale per la diplomazia globale al servizio della pace e dell’interesse umano generale. Di fronte a queste realtà, l’atlantismo non offre alcuna protezione. Agisce come una camicia di forza e va contro gli interessi strategici del nostro paese.

Lasciando la NATO e voltando le spalle a qualsiasi alleanza militare permanente, la Francia non si troverà sola, ma non allineata. La rottura con la condiscendenza del campo occidentale aumenterà l’impatto dei suoi messaggi.

In ambiti strategici come la francofonia, i paesi emergenti, l’Africa, le Nazioni Unite (ONU), l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), potrà spingere, con gli attori che già li propongono, alla cooperazione nell’interesse generale  risposte alla crisi ecologica, alternative al neoliberismo, protezione e accesso ai beni comuni dell’umanità, disarmo multilaterale, ecc. – senza rinunciare alla sua indipendenza di visione e di azione.

Proposta di risoluzione (articolo unico):

Visto l’articolo 34-1 della Costituzione,

Visto l’articolo 136 del Regolamento dell’Assemblée Nationale,

Considerando che l’appartenenza all’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico è contraria agli interessi della Francia e che il ritorno della Francia al suo comando integrato nel 2009 ha alterato la sua influenza;

Considerando che la Francia ha, in piena autonomia, i mezzi per la sua difesa nazionale;

Considerando che le trasformazioni del mondo attuale rendono ancora più rilevante l’attuazione di una diplomazia non allineata;

L’Assemblée Nationale invita il governo ad esaminare la permanenza della Francia nell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico. Questa riflessione potrebbe portare a considerare il ritiro della Francia, che potrebbe avvenire in due fasi: un ritiro immediato dal comando integrato dell’alleanza in prima istanza e un’uscita completa dall’organizzazione prevista in seconda istanza, in particolare per elaborare le contromisure alle sanzioni che gli Stati Uniti potrebbero voler imporre in seguito a questo ritiro.

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