Figuracce Excel inglesi e californiane. Teniamoci stretto l'Inps (che è lo Stato ed è NOSTRO)

Figuracce Excel inglesi e californiane. Teniamoci stretto l'Inps (che è lo Stato ed è NOSTRO)

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di Leo Essen


In Inghilterra il registro dei risultati giornalieri dei tamponi che arrivano dai laboratori sono caricati su un file Excel. Il foglio di calcolo di Microsoft è uno strumento eccellente per questo tipo di lavoro. Ha un solo limite. Memorizza dati su righe, e il numero massimo di esse è uguale a 1.048.576. 

Questo dettaglio deve essere sfuggito ai tecnici che giornalmente raccolgono i dati, tanto che hanno continuato a popolare la tabella Excel con nuovi casi anche se questa era ormai satura.

Tra il 25 settembre e il 2 ottobre, riporta il Daily Mail (dailymail.co.uk), il foglio ha smesso di registrare i nuovi casi, distorcendo le statistiche nazionali diffuse dal governo. 

Secondo il Public Health England, che tiene la contabilità dei nuovi casi, nella settimana di saturazione del foglio si sono persi per strada 15.841 nuovi casi.

Gli inglesi, che non hanno certo fatto una bella figura, non si sono scomposti, nemmeno quando, dall’altra parte della Manica, i Francesi di LesEchos si scompisciavano dalle risate, mentre sbattevano in prima pagina la notizia, dandole lo stesso risalto che si riserva a un nuovo erede della casa reale (lesechos.fr).

Anche in Austria si sono divertiti. Secondo quanto riportato da Orf (la TV nazionale - orf.at)  Boris Johnson ha detto che i dati del caso sono stati "tagliati" e "persi". Ma ora "tutti i contatti" degli infetti sarebbero stati tracciati. Il partito laburista di opposizione ha definito l'incidente "caotico".

Adnkronos ha dato la colpa a Excel e ha titolato: «Excel si impalla e Londra perde 16mila casi covid», facendo transitare la responsabilità dall’uomo alla macchina. 

È evidente che le due cose sono connesse. Se opero con mezzi scarsi o scadenti è più probabile commettere errori.

In California, la patria dell’High Tec, dove sono nate e hanno tuttora la sede Google, Apple, Cisco Systems, Intel, Netflix, Sun Microsystems, Zoom - solo per fare alcuni nomi -, dove hanno sede prestigiose università, Stanford e Berkeley, la quale, addirittura, ha progettato e scritto un suo sistema operativo (mica pizza e fichi!), il BSD - Berkeley Software Distribution; in California l’EDD, il Dipartimento per lo sviluppo dell’occupazione (una sorta di INPS) ha smesso di accettare nuove richieste di sussidi per la disoccupazione sino al 5 ottobre. E ha smesso, si legge in una nota di EDD resa pubblica dal San Francisco Chronicle (sfchronicle.com), perché da luglio una squadra di tecnici sta lavorando per « to modernize information technology programs and transform the customer experience», per aggiornare il software e renderlo più accessibile al malcapitato che ha bisogno di presentare la domanda di disoccupazione.

Se un fatto del genere fosse capitato in Italia – ed è capitato – avremmo preso per le orecchie il Presidente dell’INPS e lo avremmo trascinato in piazza a calci nel sedere. E non conta che l’Italia non è la California, non conta che chi attacca il Presidente mira a distruggere l’INPS, non conta l'evidenza lampante che se questi stessi problemi ce li hanno anche in California, uno Stato dove le aziende informatiche possono mettere su dal nulla una piattaforma informatica – Zoom – in grado di interconnettere mezzo mondo, il problema non è né tecnologico, né di risorse umane. 

Il problema è l’Istituto che eroga i sussidi. Il problema sono i sussidi. 

Ci vogliono convincere che il problema è Excel, o che il problema è la programmazione dell’interfaccia del sito dell’EDD o dell’INPS, e che per realizzar un’interfaccia che tenga conto della «customer experience» ci vuole uno speciale Strike Team, il quale, dopo analisi e conference call, il 20 settembre ci dice che il call center riesce a rispondere a 1 domanda su 1000. 

Il fatto è, si legge su SFC, che quasi 600.000 californiani hanno presentato domanda contro la disoccupazione più di 21 giorni fa e non hanno ricevuto l'elaborazione delle loro richieste iniziali.

Prima di gettare la spugna o prima di mollare un jab all’Istituto di previdenza dovremmo tirare il fiato e chiederci se stiamo facendo la cosa giusta. 

È giusto attaccare adesso l'istituto? Chi ci guadagna da un depotenziamento dell'Istituto? Chi ha interesse a che non vengano pagati i sussidi?

Prima di colpire a fondo ricordiamoci che l'INPS (per restare in Italia) è un nostro (NOSTRO) istituto. 

Quando ci ammaliamo è l’INPS che ci integra il reddito per tirare a campare, e ce lo eroga quando rimaniamo disoccupati, quando siamo inabili e abbiamo bisogno di un sussidio per l’accompagnamento, quando siamo in maternità, quando siamo in pensione, eccetera. 

È sempre l'INPS che certifica il diritto alla riduzione di tasse o il diritto a tariffe agevolate per la luce, per il gas, per la mensa scolastica, l’università, eccetera. Ed è ancora l’INPS che gestisce le certificazioni RED, ICRIC, ICLAV, ACCAS/PS. Sono sigle che a noi non dicono niente, ma sono importanti per i percettori di invalidità parziale o totale, o dai titolari di pensione o assegno sociale. Ed è stata ancora l’INPS che ha intermediato l’erogazione del bonus vacanze. 

L’INPS è un gioiellino che hanno costruito i lavoratori e che permette di regolare il flusso di reddito in modo da farlo transitare da chi ha Possibilità di produrlo a chi ha Necessità di consumarlo. 

L’INPS è lo Stato – tienilo a mente. 

Lo Stato è brutto e cattivo, ci manda la polizia e l’esercito, ci reprime e costringe a un’emergenza di durata indefinita, eccetera. Ma in questa fase (in questa fase) lo Stato è l’unico argine tra noi e il capitalismo offshore – tienilo a mente prima di colpire Tridico da Scala Coeli.

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