Ex Ambasciatore Romano: I rischi delle sanzioni contro Russia e Cina e dell’espansione ad est della Nato

Ex Ambasciatore Romano: I rischi delle sanzioni contro Russia e Cina e dell’espansione ad est della Nato

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di Giordano Merlicco - Faro di Roma

Il presidente degli Stati Uniti Biden ha annunciato l’introduzione di nuove sanzioni contro la Russia e altrettanto potrebbe fare a breve l’Unione Europea. In proposito, Faro di Roma ha raccolto l’opinione di Sergio Romano, celebre editorialista, saggista e  rappresentante d’Italia a Mosca negli ultimi anni dell’Urss.

Ambasciatore, come giudica le mosse dell’amministrazione Biden nei confronti della Russia?

A prima vista possono sembrare contraddittorie. Da un lato il presidente Biden annuncia nuove sanzioni contro Mosca, dall’altro vuole incontrare il suo omologo russo Putin. A mio giudizio, tale condotta ha invece una sua logica. Con le sanzioni la Casa Bianca vuole dare soddisfazione a quella parte della società americana che vede con fastidio la crescita politica della Russia e cerca di scongiurare l’eventualità che Mosca acquisisca quel ruolo di primo piano sulla scena internazionale che ebbe l’Urss.

Si potrebbe aggiungere che è proprio questa sensazione di rifiuto da parte dell’Occidente che incoraggia il Cremlino a giocare a tutto campo sull’arena globale. Al vertice Nato-Russia di Pratica di Mare, nel 2002, sembrava possibile una sorta di condominio internazionale. L’Alleanza Atlantica sembrava disposta a consultarsi con Mosca sulle questioni all’ordine del giorno, gestendo in modo congiunto l’agenda politica mondiale.

Poi però le cose cambiarono. Molto semplicemente, gli Usa non erano disposti ad accettare una condivisione degli oneri e degli onori con i russi e Washington promosse l’espansione ad est della Nato. Questa svolta fu causata da quella componente della politica americana che non accetta di trattare alla pari con la Russia. È sempre esistito del resto un nazionalismo radicale americano, che non desidera l’emersione di altre potenze, neanche come partner.

Biden a mio giudizio vuole effettivamente migliorare i rapporti con Mosca, ma deve tenere conto di questa componente. Kissinger dovette fare altrettanto alla fine degli anni ’70, bilanciando l’apertura alla Repubblica Popolare Cinese con alcune prese di posizione critiche nei confronti di Pechino. Sembravano gesti contraddittori, ma si trattava in realtà della volontà di offrire delle soddisfazioni ai settori ostili alla distensione con la Cina.

Anche nell’Ue si è parlato di promuovere una nuova tornata di sanzioni contro la Russia, soprattutto in riferimento alla detenzione di Navalnyj.

A mio giudizio si tratta di questioni che esulano dai compiti dell’Ue. Eppure capisco benissimo l’atteggiamento di Bruxelles. È un tentativo di allargare il ruolo dell’Unione, di farla diventare un attore di primo piano della scena internazionale, che prende posizione e formula giudizi positivi o negativi su tutte le faccende all’ordine del giorno.

Quanto alle sanzioni, mi sembrano uno strumento da guardare con diffidenza. Ricordo ancora l’effetto che fecero negli anni ’30 le sanzioni contro l’Italia, in seguito all’invasione dell’Etiopia. Il risultato non fu affatto l’indebolimento di Mussolini, ma un’ondata di nazionalismo che conquistò anche i settori che non guardavano con simpatia al fascismo.

Recentemente l’Ue ha imposto sanzioni anche contro la Cina.

Che dire, non mi sembra una scelta saggia pregiudicare i rapporti con un paese che mantiene uno straordinario tasso di crescita e che nel 2020 è diventato il primo partner commerciale dell’Ue.

Nei prossimi mesi uscirà un suo libro per i tipi di Sandro Teti Editore, dal titolo eloquente “il suicidio dell’Urss”. Crede che fosse evitabile il collasso dell’Urss?

Forse sarebbe stato preferibile evitare la fine dell’Unione, ma ormai si tratta di un passato remoto. Ciò che conta sottolineare, al giorno d’oggi, è che quell’evento non è stato ancora digerito a Mosca. I russi sanno benissimo che indietro non si torna, però ricordano la propria storia e fanno di tutto per recuperare parte di ciò che hanno perduto, fosse anche a livello informale.

Pensa alla Crimea?

Non esattamente. A mio giudizio il caso dell’Ucraina va distinto da quello di altre repubbliche ex-sovietiche. Questo paese è in qualche modo “incastrato” nella storia e nell’identità russa, dunque Mosca può considerarlo uno stato indipendente, ma non una nazione straniera.

Occorre poi ricordare che l’annessione della Crimea avvenne nel contesto di una forte polarizzazione politica interna e internazionale. A Kiev fu imposto di scegliere tra l’associazione economica con l’Ue e il piano di aiuti russo. Scelse l’Ue, in circostanze che rimangono in parte ancora da chiarire, e ciò cambiò la percezione del Cremlino. Mosca era disposta a lasciare la Crimea a un’Ucraina alleata, ma sapeva che il cambio di governo a Kiev avrebbe avuto conseguenze di lungo periodo, magari anche l’integrazione del paese nella Nato. Decise quindi di prendersi la penisola sul Mar Nero, che ha un valore affettivo, simbolico, ma anche strategico, visto che a Sebastopoli ha sede la Flotta russa.

 

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