"Contro il capitalismo della paura, in un mondo che l'ha già superato". Intervista a Pino Arlacchi

"Contro il capitalismo della paura, in un mondo che l'ha già superato". Intervista a Pino Arlacchi

"Non basta addomesticare il capitalismo. Limitarne i danni. E’ l’autorità pubblica che deve guidare e plasmare i mercati, generare innovazione e sviluppo a vantaggio della società."

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Come AntiDiplomatico abbiamo avuto il privilegio di intervistare Pino Arlacchi, docente di sociologia e ex vicesegretario delle Nazioni Unite, sul suo ultimo libro “Contro la paura. La violenza diminuisce. I veri pericoli che minacciano la pace mondiale”. Grazie all'autore offriamo ai nostri lettori un ampio stralcio del libro che troverete in calce all'intervista stessa.

                    

 

L'INTERVISTA

 

Professore è appena uscito il suo ultimo libro “Contro la paura. La violenza diminuisce. I veri pericoli che minacciano la pace mondiale”. Quali sono questi veri pericoli?

I pericoli per la pace e per la crescita sono oggi prevalentemente non militari. In primo luogo c’è  l’ attuale sistema finanziario ultraglobalizzato che aumenta la disuguaglianza e l’insicurezza, quella vera, che riguarda le condizioni di vita e di sopravvivenza fisica. Oggi si muore sempre meno a causa delle guerre e delle violenze di massa, e sempre più, in percentuale, per le malattie, l’indigenza, l’ assenza di protezione sociale. Nel paese più ricco del mondo, gli Stati Uniti, muoiono ogni anno 45mila persone per la semplice mancanza di copertura sanitaria. La prima causa di morte dei bambini del pianeta  - nonostante i grandi progressi nella riduzione della povertà e delle malattie – è rimasta la fame. E tutto questo quando le risorse attuali sono sufficienti, secondo l’ Unicef, a sfamare 10 miliardi di persone sui 7,7 miliardi che abitano il pianeta.

 

Lei ha definito questo libro la sua Opera Summa. Nel testo si trovano tutti i riferimenti per costruire un mondo che sappia rompere quel vortice di barbarie iniziato con l’illusione della fine della storia nel 1991. Quale secondo Lei il primo passo necessario da compiere?

 Rendersi conto che si può cambiare. Non rifugiarsi nell’ autodifesa. Viviamo un epoca di transizione. Il capitalismo occidentale a guida americana, dominato dalla finanza, sta tramontando di fronte ad un antagonista molto valido, che in un altro libro ho chiamato “l’ economia sociale di mercato” che si è affermata in Asia, e non solo in Cina. Riconoscere che stiamo dalla parte vincente della storia  - se decidiamo di impegnarsi per un mondo più decente – è fondamentale. Soprattutto per chi sta a sinistra.

 

Quali sono le caratteristiche di questo post-capitalismo?

Sono tre. Primo. L’ assenza di comando dei capitalisti sullo Stato. Cioè l’ autorità pubblica che governa le forze produttive e i mercati attraverso piani più o meno dichiarati. Secondo. La subordinazione completa della finanza alle esigenze della produzione e dello sviluppo. Terzo. Una forza militare di ridotte dimensioni slegata alle esigenze di accumulazione del capitale. I paesi che si trovano più vicini a realizzare queste condizioni-fattori sono oggi quelli più avanzati. E non è un caso che sia proprio il capitalismo anglo-americano a venire additato oggi come un sistema socio-economico e politico arretrato e pericoloso. Dove non vige alcuna delle tre condizioni di cui sopra. Il COVID ne ha messo a nudo tutto l’ anacronismo.

 

E l’Europa?

Abbiamo già visto nascere, proprio in Europa Occidentale, dopo Bretton Woods e fino alla controrivoluzione liberista iniziata negli anni ’70, una forma ben delineata di questo sistema post-capitalistico. Il sistema che oggi domina Giappone, Cina, Vietnam, Corea del Sud ed altri paesi. Il paradosso è che questa forma di capitalismo che nega se stesso, in vigore in Europa tra il 1945 e il 1970, è stata chiamata “l’ età d’oro del capitalismo occidentale”. L’ Europa dovrebbe riprendere ed approfondire ciò che aveva iniziato a costruire nel dopoguerra. Non basta addomesticare il capitalismo. Limitarne i danni. E’ l’autorità pubblica che deve guidare e plasmare i mercati, generare innovazione e sviluppo a vantaggio della società. In Europa ci sono sia le basi che la mentalità necessarie per il salto di qualità verso una società non di mercato, dove si produce per il benessere di tutti. E in pace. Senza vedere nemici e mostri ad ogni angolo.

 

Professore nel suo libro Lei riesce a compiere qualcosa di incredibile e paradossale: dimostrare che non siamo mai stati più sicuri come oggi. E lo fa citando decine e decine di dati. Qual è quello che l’ha colpito di più nelle sue decennali ricerche?

 Gli argomenti che mi hanno più colpito sono quelli sollevati dagli studi dei medici militari sul comportamento dei soldati nel campo di battaglia, rivolto soprattutto a non uccidere, quelli sollevati dai primatologi che hanno scoperto le scimmie della solidarietà e dell’amore, i Bonobo, e gli studi sulla diminuzione della violenza omicida lungo i secoli e negli ultimi trent’anni. La forza e la coerenza di questi ultimi è davvero sbalorditiva. Raramente accade, inoltre, che studi fatti in campi così diversi convergano verso lo stesso risultato. E sono orgoglioso di aver tentato il primo esperimento di messa insieme in un quadro unitario di tutti questi pezzi di conoscenza separata.

 

Che interessi hanno corporazioni mediatiche e delle armi a creare quello stato di paura e caos che invece domina il dibattito ogni giorno?

Gli interessi sono economici e politici. L’ industria mediatica tradizionale  - che domina ancora quasi tutta la comunicazione che conta – sta puntando tutto sulla sensazionalità sinistra, negativa, perché perde sempre più terreno rispetto ai social media, che lavorano in modo diverso, più freddo, espressivo e insinuante, rispetto ai grandi problemi. I social non sono così strettamente collegati ai poteri costituiti. E spesso sono intenti a smontare, a contrastare le informazioni ufficiali. Anche loro creano nemici ed inventano minacce inesistenti, ma la loro logica è diversa, più multidimensionale e più suscettibile di regolazione. Le loro distorsioni sono più facili da correggere.

 

Professore analizzando nel dettaglio una delle due industrie di quello che ha definito “capitalismo della paura”, le corporazioni mediatiche, si assiste ad un fenomeno nuovo negli ultimi anni: il potere sempre maggiore delle multinazionali di internet, su tutti Facebook e Google, nel controllo quasi totale delle informazioni che arrivano all’opinione pubblica. Che responsabilità hanno in quello stato di paura che descrive ampiamente nel suo libro?

Come ho detto, anche i social creano nemici e inventano catastrofi. Ma non sono costretti a farlo. Facebook e Google sono delle piattaforme aperte, attraversate da correnti disparate, e che non rispondono ad interessi ristretti di dominio. Una volta obbligate a pagare le tasse, non uccidere i competitori e rispettare le stesse regole della carta stampata nella diffusione dei messaggi, perderanno il potere di monopolio che hanno adesso.

 

Da ex vicesegretario dell’Onu, che ruolo pensa potranno avere in futuro le Nazioni Unite nella costruzione di quel nuovo mondo multipolare che auspica?

Il mondo multipolare è già in atto da trent’anni. Non lo abbiamo visto bene perché è stato oscurato lungo gli anni ’90 dalla “Bell’ Epoque” clintoniana. Cioè dall’ illusione che era finito solo il comunismo sovietico, e che l’ America avrebbe continuato a governare il mondo. Ma in un pianeta nel quale non esiste un centro, e dove non può esserci un governo mondiale, ci deve essere se non un baricentro, una specie di software che indichi all’ umanità perlomeno la direzione da seguire. Una ONU come sede di discussione e di elaborazione di strategie globali che poi ciascuno mette in pratica sotto la propria responsabilità è ancora più essenziale di prima. Si può immaginare una strategia per l’ ambiente senza un luogo nel quale incontrarsi e prendere decisioni vincolanti?

 

UN AMPIO STRALCIO DEL LIBRO MESSO A DISPOSIZIONE DA PINO ARLACCHI: SCARICA IL PDF

 

La Redazione de l'AntiDiplomatico

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