Con il tramonto della via "riformista" dell'UE, è il momento di una proposta politica per una forza unitaria

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di Paolo Desogus
 

Questa crisi sanitaria e il disfacimento della retorica europeista dovrebbero essere l’occasione per una riflessione sulle divisioni che hanno ulteriormente frammentato il campo della sinistra che intende rappresentare il lavoro e dare voce alle fasce oppresse della popolazione.

Negli ultimi anni ci si è divisi tra chi intendeva l’Ue come un campo possibile di lotta attraverso la riforma dei Trattati e chi invece considerava quella possibilità del tutto irrealizzabile a causa dei rapporti di forza vigenti. In molti casi la divisione era dunque solo strategica, era cioè comune la critica al modello ordoliberista mentre era diversa la prospettiva su come affrontarlo.

Ora dato che la via di una riforma dell’Ue e dei Trattati, nonostante la loro sospensione, appare sempre più remota, la pregiudiziale strategica non sussiste più o comunque avremo nei prossimi mesi la prova provata dell’impossibilità della via riformatrice. Nel frattempo dato che a breve termine dovremo affrontare le conseguenze della crisi sanitaria, sarebbe opportuno riunificare sotto un’unica insegna le forze della sinistra che si richiamano al movimento operaio e che hanno come principale avversario il neoliberalismo.

Le circostanze non ci consentono di perdere altro tempo in sciocche contese tra sovranismo e anti sovranismo: queste categorie sono state create per dividere il nostro campo, impiegarle è solo il segno di una persistente subalternità all’immaginario delle classi dominanti.

Occorre allora un cambio di passo sia culturale che pratico-politico.

Esiste d’altronde una grande massa di studi e di ricerche sul tema del neoliberalismo e sui suoi mali che attendono di trovare traduzione in una prassi politica e in un’organizzazione unitaria.

È ora di farsi avanti e di lasciarsi alle spalle rancori e meschinità che fino adesso non solo non hanno giovato a nessuno, ma ci hanno ridotto all’irrilevanza.

Quello che dunque dobbiamo creare non è un club di dotti che se la raccontano e che si dicono allo specchio quanto hanno ragione, ma è un partito accogliente, capace di infilarsi nella lacerazione aperta dalla crisi economica, in grado di attirare, tradurre e proiettare in un nuovo orizzonte politico le istanze disgregate che frammentano la società. Quello che occorre è insomma un partito del lavoro capace di interpretare le contraddizioni del presente, di elaborare una nuova coscienza di classe e di scegliere il futuro delle classi lavoratrici non sulla base di un’idea predeterminata che non sia il socialismo e la fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma sulla base di ciò che è strategicamente più opportuno.

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