Coloni bullizzano una donna palestinese dopo lo sfratto. La foto shock diventa virale

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La foto di giovani teppisti israeliani che bulleggiano una donna palestinese la cui famiglia è stata sfrattata non è una novità, ma fa pur sempre un effetto terribile veder ripetersi soprusi  impuniti e “certificati” da una legalità paragonabile a quella che in Italia uscì dal parlamento nel 1938.

Meno di un mese fa, infatti, la Corte distrettuale di Gerusalemme ha stabilito che altre sei famiglie palestinesi dovranno lasciare le loro case per permettere ai coloni di appropriarsene, portando avanti il progetto israeliano di espansione a danno dei palestinesi.Nel caso in questione ci troviamo a Sheikh Jarrah, Gerusalemme est, un quartiere palestinese poco distante dalla città vecchia, la Gerusalemme “santa” in cui si trovano sia la chiesa del Santo Sepolcro, sacra ai cristiani,  che la spianata delle moschee con la cupola d’oro della roccia e la moschea di Al Aqsa sacre ai musulmani, e il muro del pianto sacro agli ebrei. Uscendo dalla porta di Damasco e percorrendo Nablus road in circa 20 minuti si arriva a Sheikh Jarrah.

Il quartiere deve il suo nome alla tomba del 1200 dello sceicco Hussam Jarrah (medico personale di Saladino) intorno alla quale si formò il villaggio che successivamente, dalla seconda metà del 1800, divenne il quartiere residenziale dell’élite palestinese in prevalenza musulmana con la quale convivevano le  minoranze ebraiche e cristiane, ma pur sempre palestinesi. Quindi le case di Sheikh Jarrah appartengono da secoli ai loro abitanti palestinesi .Ma quando nel 1967 il giovane Stato di Israele, nato 19 anni prima –  sulla violenza e non sulla Risoluzione 181 come erroneamente si crede – occupò  l’intera Cisgiordania, Sheikh Jarrah come tutta Gerusalemme est  iniziò una nuova fase della sua agonia.

Dato che Israele, quando può, copre i suoi abusi illegittimi con la facciata legale, non stupisce sapere che dopo l’occupazione la comunità sefardita impugnava il proprio diritto alle sue proprietà di fronte alla Corte Suprema e che questa le dava ragione imponendo il pagamento di un affitto ai palestinesi residenti in case rivendicate come proprietà dai discendenti della minoranza ebraica risucchiati dallo Stato di Israele e divenuti israeliani.  Ovviamente la stessa Corte Suprema non ha mai dato ragione ai palestinesi che hanno presentato analoghe istanze per il riconoscimento delle loro proprietà occupate dagli israeliani dal 1948 in poi.

Una storia di soprusi legalizzati che non è possibile elencare nel dettaglio per ragioni di spazio, ma che è necessario ricordare, almeno per cenni generali, per capire da dove nasce il teppismo e l’impunità dei coloni – fuorilegge  ai sensi della legalità internazionale –  verso i palestinesi cacciati dalle loro case di cui i coloni stessi seguitano ad appropriarsi facendosi beffe dell’ONU, del Diritto universale umanitario e di ogni norma internazionale, bellamente violata sapendosi protetti dalla forza dei loro complici occidentali e dal favore di Stati arabi che hanno abbandonato la Palestina in nome di lucrosi affari con Israele e con l’Occidente.

Nel 2009 alcune famiglie di Sheikh Jarrah si erano illuse che il presidente Obama avrebbe fermato Israele, e su una delle case che i coloni volevano occupare spiccava un enorme striscione con la scritta “OBAMA YOU CAN”. Nel 2010, tornando a Sheikh Jarrah, lo striscione non c’era più e le 18 persone che componevano la famiglia palestinese che aveva sperato in Obama erano in strada.La casa era occupata da gaudenti coloni, vincitori “legali” della disputa. Perché in Israele quasi tutto è legale, nel senso che passa per l’approvazione di una legge, esattamente come le già cennate leggi italiane del 1938 che rendevano “legale” la discriminazione degli ebrei.

I giovani ebrei con l’aria da teppisti che sbeffeggiano la donna palestinese cui hanno sottratto la casa, oggi  possono ridere senza alcun timore perché sono ben protetti, ma se un giorno non saranno più utili a chi oggi li asseconda, capiranno che la storia va per salti e forse la legittimità si imporrà sulla legalità formale, ancella del sopruso, che non avrà vita eterna, come non l’hanno avuta altri aguzzini di cui gli stessi loro ascendenti sono stati vittime.  

Patrizia  Cecconi

Patrizia Cecconi

Romana di nascita, milanese di ultima adozione. Laureata in Sociologia presso la Sapienza Roma ove tiene per alcuni anni dei seminari sulla comunicazione deviante. Successivamente vince la cattedra in Discipline economiche ed insegna per circa 25 anni negli Istituti commerciali e nei Licei sperimentali. Interessata all'ambiente, alle questioni di genere e ai diritti umani ha pubblicato e curato diversi libri su tali argomenti ed uno in particolare sulla Palestina esaminata sia dal punto di vista ambientale che storico-politico. Ha presieduto per due mandati l'associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese di cui ora è presidente onoraria e, al momento, presiede l'associazione di volontariato Oltre il Mare. Da oltre 12 anni trascorre diversi mesi l'anno in Palestina, sia West Bank che Striscia di Gaza, occupandosi di progetti e testimonianze dirette della situazione. Collabora con diverse testate on line sia di quotidiani che di riviste pubblicando articoli e racconti. 

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