di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
In più di una circostanza ho scritto che oltre agli USA a vivere una situazione estremamente complessa in materia di conti con l'estero (debito/credito verso l'estero) erano anche la Gran Bretagna e la Francia. Se Londra ha una situazione sostanzialmente fuori controllo con una posizione finanziaria netta (NIIP) mediamente sopra il 30% del PIL e con un saldo delle partite correnti cumulato mediamente superiore al 60%, anche Parigi non ride. Infatti la Francia ha ormai da anni una posizione finanziaria netta estremamente negativa e mediamente sul 30% del PIL.
La Gran Bretagna a causa di questa situazione ha subito l'onta del disarcionamento del governo di Liz Truss che – nei suoi due mesi di governo tra settembre e ottobre del 2022 - ebbe “l'impudenza” di proporre una manovra finanziaria di deficit spending che generò la sfiducia dei mercati, il conseguente crollo della sterlina e le successive meste dimissioni del governo.
La Francia, al contrario, non ha, fino ad ora, subito la plateale sfiducia dei mercati nonostante la situazione finanziaria sia estremamente grave. Questo grazie alla protezione che garantisce l'Euro – la moneta unica europea – che permette ai capitali in eccesso del nord Europa, dovuti proprio al loro NIIP estremamente positivo, di saziare la fame di capitali di Parigi che, appunto, deve finanziare il suo squilibrio nei conti.
Ma qualcosa in questo frangente storico doveva per forza capitare anche all'interno dell'area euro. La Germania, e in generale i paesi del nord Europa, non sono più quell'invincibile schiacciasassi in grado di invadere i mercati mondiali con prodotti iper-competitivi e conseguentemente di avere un saldo delle partite correnti e un NIIP stellare e in grado compensare il deficit di partite correnti e il NIIP strutturalmente negativo di paesi come la Francia.
Infatti, non esattamente a caso, ultimamente si è accesa in Francia quella che è la spia fondamentale che segnala una difficoltà a recepire capitali nei mercati esteri. Ci riferiamo ai tassi di riferimento sul debito pubblico francese che hanno raggiunto ormai il livello di quelli pagati dallo stato greco. In particolar modo ad aver raggiunto il livello greco è proprio il tasso sui titoli decennali, che è di gran lunga quello più importante perché serve anche a calcolare i cosiddetti spread con i tassi degli altri paesi: elemento questo fondamentale in una unione monetaria dove, evidentemente, i tassi di un paese non possono divaricarsi troppo rispetto a quelli degli altri.
Lo stesso capo del governo Barnier, appena preso atto della grave situazione dei tassi ha immediatamente ammonito il parlamento di Parigi, invitandolo ad approvare il bilancio e sottolineando che: «Ci sarà una tempesta, una situazione finanziaria piuttosto grave». Tutte cose che per noi italiani sono un film ampiamente visto ma che in Francia generano forte sconcerto. Per decenni Parigi ha goduto nei mercati finanziari di un trattamento - sia a livello di debito pubblico che di mercato interbancario - inimmaginabile per noi italiani. Un trattamento, inutile girarci attorno, da paese vincitore della Seconda Guerra Mondiale, e dunque assegnatario di privilegi per gli altri assolutamente impensabili ed esorbitanti.
Se la situazione economico-finanziaria del paese transalpino è da considerarsi drammatica non è da considerare migliore la situazione diplomatica e militare in quello che per oltre un secolo è stato il terreno di pascolo principale del paese. Ci riferiamo ovviamente all'Africa che dal XIX secolo è stata in buona parte colonizzata dalla Francia e che vede – a tutt'oggi – molti paesi sotto il giogo neo-coloniale transalpino. Un giogo che è economico essendo fatto di concessioni minerarie fondamentali ma anche di mercati di sbocco per i prodotti francesi; monetario dovuto al Franco CFA che è una moneta “garantita” dalla Banque de France; militare visto che sono innumerevoli le basi francesi in Africa.
Di pari passo alla penetrazione in Africa di Cina e Russia negli ultimi anni sempre più forte si è fatto il dibattito in Africa sulla dipendenza neo-coloniale da Parigi e molti paesi tra i quali la Repubblica Centroafricana, il Mali, il Niger e il Burkina Faso sono passati alle vie di fatto recidendo sostanzialmente il cordone ombelicale con Parigi; questo soprattutto in materia di collaborazione militare ma anche in materia commerciale (pensiamo al Niger che ha tolto le concessioni per l'estrazione dell'Uranio alle società francesi).
Ma è in questi ultimi giorni che sono arrivati due ulteriori fulmini a ciel sereno sui palazzi della politica francese: il Ministero degli Esteri ciadiano ha rilasciato una dichiarazione con la quale si è informata l'opinione pubblica della risoluzione dell'accordo di difesa del 2019 con la Francia, invece il nuovo presidente senegalese Faye, recentemente eletto, ha annunciato in un'intervista la sua intenzione di chiudere completamente tutte le basi francesi nel Paese.
Basta guardare una cartina dell'Africa per capire che la Francia ormai sta completamente perdendo l'intera Africa subsahariana e con essa un enorme polmone economico oltre che una delle sue più importanti aree di influenza diplomatica e culturale. La Gallia rischia di essere degradata da paese di rilevanza internazionale a paese quasi marginale e di second'ordine.
Sotto quest'ottica si capisce perfettamente l'attuale politica sommamente aggressiva di Macron che vorrebbe di fatto dichiarare guerra alla Russia: con un azzardo degno di un giocatore di poker si vorrebbe ribaltare l'esito della doppia Waterloo finanziaria e africana che sta subendo il suo paese e che rischia di abbassarne definitivamente il rango internazionale.
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